Abu Dhabi Marathon: voglia di corsa
Non c'è due senza tre. Ma ritornare ad Abu Dhabi è sempre come fosse la prima volta. Un po' perché non si smette mai di imparare, un po' perché quel lungo countdown che porta ogni volta allo sparo che dà il via alle danze è in grado di regalare gioie ed emozioni difficili da dimenticare.
Dopo tre anni di esperienza negli Emirati Arabi un po' di cose le abbiamo (e le ho) imparate. Tempistiche e metodologie di misurazione e di aggiustamenti del percorso, totalmente diversi sia per morfologia e tipologia del tracciato che per necessità e possibilità, che variano in ogni luogo. Gestione di flussi e gare su distanze differenti, con atleti differenti, che richiedono attenzioni e possibilità differenti. E tutta quella che è la gestione degli interlecutori che entrano in gioco, dai volontari, ai responsabili di tracciatura e allestimento, a quelli del traffico, fino ad arrivare agli atleti e alla polizia. Dinamiche completamente rivoluzionate rispetto a quelle a cui siamo normalmente abituati, ma che è sempre necessario imparare a gestire, e soprattutto interpretare, di volta in volta.
In questi giorni ho anche conosciuto due rappresentanti di World Athletics, con i quali ho potuto chiacchierare durante la cena, scoprendo lo stesso mondo ma con un punto di vista e un'esperienza differenti. Persone estremamente disponibili e appassionate del loro lavoro, che mi hanno coinvolto dentro a un universo che ha sempre qualcosa di nuovo e interessante da regalare.
Parlando della gara, quest'anno è stata davvero dura (per gli atleti). Caldo. Molto Caldo. Due settimane di differenza (prima) rispetto al periodo al quale eravamo abituati, hanno davvero fatto la differenza (in negativo). Appena il sole si è alzato sopra i grattacieli che si affacciano sulla Corniche di Abu Dhabi (la partenza è stata alle 5.45) le temperature si sono impennate e hanno inevitabilmente condizionato la gara degli atleti d'élite, con un crollo che ha caratterizzato gli ultimi chilometri di gara. Peggio è però andata agli atleti amatori che hanno concluso le loro fatiche più in là e soprattutto ai partecipanti delle fun race. Un po' come correre d'estate sotto il sole di mezzogiorno.
Ma è comunque stato uno spettacolo. Da una parte osservare (per mia fortuna anche da una posizione privilegiata davanti alla testa della gara) il gesto atletico di chi ha fatto della corsa il proprio riscatto, dall'altra assorbire l'energia e la voglia di esserci di chi invece vive la corsa come un evento di festa. Bambini alla ricerca di un “cinque" concentrati a raggiungere quel loro traguardo ambito e soprattutto donne e ragazze, quasi sempre nascoste da veli e copricapi, capaci di comunicare la loro gratitudine anche solo con un fuggevole sguardo.
Fortunatamente nessuno si è fatto male. Qualche leggero malore prima tra i top runner, poi tra gli atleti amatori più evoluti. Qualcuno l'ho soccorso personalmente, verificandone la condizione e lo stato prima che arrivassero medici e infermieri. È stato triste e crudele doverlo fermare mentre con gli occhi implorava di essere aiutato a rialzarsi e a raggiungere il traguardo. Da un lato capisco questa voglia di arrivare sempre e a qualunque costo. Ma dall'altro non condividerò mai l'errore di anteporre una medeglia alla propria salute.
Sto volando in Italia mentre scrivo. Da domani ricomincia la solita vita, ma non da dove l'avevo lasciata. Riprende con più consapevolezza, di quello che il mondo della corsa è e può essere e di quello che è in grado di regalare. Grazie a tutti quelli che mi hanno affiancato in questi giorni, a chi avrebbe voluto esserci ma non ha potuto, a chi ancora una volta ha creduto in me regalandomi questa nuova, bellissima, avventura.
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