La mia verità sulla Abu Dhabi Marathon
Mi ci sono voluti qualche giorno e qualche ora di riposo per riprendermi dal lungo week-end della Abu Dhabi Marathon. Quarantotto ore non-stop che hanno lasciato il segno. Nel corpo, nella mente, nel cuore. Un’esperienza che difficilmente potrò dimenticare. E una prima edizione che ha fatto subito la storia nel campo della maratona mondiale.
Quarto tempo assoluto tra le maratone del 2018, a soli quattro secondi dalla cugina Dubai (Kipchoge 2:01:39 a Berlino, Geremew e Gebrselassie a Dubai rispettivamente 2:04:00 e 2:04:02). Un 2:04:04 su un percorso velocissimo, che lascia ben sperare per il futuro. Più di 10.000 partecipanti complessivi, per una manifestazione che ha preso il via alle sei del mattino (ore tre italiane) e si è conclusa solo nel primo pomeriggio, dando spazio a chiunque volesse esserne parte: maratona, dieci chilometri, cinque chilometri e family-run di due chilometri e mezzo. Numeri. Che però non possono spiegare quello che per me è stata un’avventura lunga venti giorni.
Ho vissuto ad Abu Dhabi per tre settimane, con un solo vero giorno di riposo, quando la pressione pre-gara non era ancora alta. Una città diversa. Una cultura diversa. Un clima diverso. Un modo diverso di approcciarsi alla corsa (qui ne ho parlato su Runner’s World). Un mondo diverso in cui imparare a convivere. Esserci molto tempo prima mi ha permesso di (provare a) capire quali fossero le dinamiche che governano la città. Di inserirmi in una mentalità completamente differente, fatta di velocità diverse a quelle a cui siamo abituati, di compromessi continui per aggirare e assecondare poteri contrapposti, di tempi e modi di agire che vanno contro la normale comprensione. Ma ho anche imparato ad amare le infinite contrapposizioni di un mondo che guarda all’occidente come esempio da raggiungere (o da comprare) ma che non vuole assolutamente dimenticare le proprie radici e tradizioni. Un equilibrio sottile, in cui lusso, consumismo e potere si contrappongono alla povertà più triste, senza neanche la necessità di nasconderla agli occhi del mondo.
Ero partito con idee e preconcetti che poi si sono svelati a volte infondati. Per giorni ho avuto a che fare con un mondo politico che vive una realtà diversa, fatto spesso di apparenza e poteri forti. Ma sotto il traguardo della maratona ho riscoperto un mondo più semplice, amico, fatto di persone normali, di mille paesi diversi, che per un istante si sono sentiti uguali. O almeno hanno provato ad esserlo. Questo è probabilmente uno degli aspetti che più mi ha emozionato. Vedere come la corsa sia stata in grado di avvicinare universi tanto lontani. Dopo l’arrivo del top-runner ho passato tutta la mattinata sotto il sole ad aspettare l’arrivo ogni singolo runner. Colori, razze, età che si sono mischiati a formare un’unica grande marea colorata che ha travolto le strade di Abu Dhabi. Arabi, Sudafricani, Taiwanesi, Americani, Indiani, Inglesi, Pakistani, Svedesi, Thailandesi, Iracheni, Filippini, Egiziani, Kenioti... ognuno con la propria storia, il proprio sorriso e la voglia di sentirsi parte di qualcosa di ancora più grande di una semplice maratona.
La polemica
Già, la maratona. Una macchina impressionante. Stando ad Abu Dhabi per così tanto tempo ho avuto la possibilità di toccare con mano i tanti aspetti che la compongono. Vedere come tutto debba incastrarsi alle perfezione e muoversi costantemente senza intoppi. Ho rifatto il percorso su e giù per la Corniche almeno una quarantina di volte, in macchina, a piedi, in bici. Da solo e in compagnia, raccontandolo ogni volta con una consapevolezza sempre maggiore. Nessuno, più di me, credo possa conoscerne ogni singolo metro, ogni più piccolo difetto, ogni minima variazione. L’ho visto con la luce dell’alba, con l’ombra della notte, col caldo asfissiante del sole di mezzogiorno. Per questo, leggere (alcune) polemiche (gratuite) del post-gara mi ha fatto male. Perché si è trattato (anche) del mio lavoro. Della mia professionalità. Della mia passione.
Il fatto di essere parte dell’organizzazione (per chi non lo sapesse, è stata RCS Sport - Milano Marathon per intenderci - a progettare tutto l’evento in collaborazione con le federazioni e società locali) e allo stesso tempo giornalista, mi ha permesso di valutare tutto da punti di vista differenti. Dentro e fuori. E leggere critiche gratuite, ipotesi basate sul nulla più assoluto, fatte solo per cercare uno scoop e un po’ di visibilità mi ha fatto decisamente incazzare. Vedere poi siti pseudo-giornalistici italiani rilanciare notizie false e tendenziose senza neanche provare a verificarle ha raddoppiato la dose.
Le prime critiche e notizie sulla presunta irregolarità del percorso sono arrivate subito mezz’ora dopo l’arrivo di Kipserem. Ne abbiamo parlato via-radio mentre ancora ero sul percorso. Era facilmente immaginabile come, soprattutto per gli organizzatori della rivale Dubai, il risultato fosse scottante. Ma è stato un sito USA, Letsrun.com, a provare a dimostrare come il tempo finale fosse il risultato di un tracciato non regolamentare. Nulla di più sbagliato e facilmente smontabile.
Probabilmente quasi nessuno sa, tra i semplici runner (ma anche tra i giornalisti), come venga misurato e certificato (Fidal o Iaaf) un percorso di maratona (ma anche mezza, diecimila o cinque chilometri). Vengono utilizzati degli strumenti certificati, con i quali si segue la traiettoria ideale (la famosa linea blu) del tracciato e che tengono conto di temperatura dell’aria, umidità, dilatazione termica dei materiali e tutti quei fattori che possono influire (al centimetro) sulla reale misurazione. Parliamo di precisione e calcoli che non possono avere margini di errore. E questa misurazione si fa sulla base di un percorso studiato a tavolino, magari provato su strada con l’utilizzo di un GPS, ma che non può essere preciso (a priori) al cento per cento (solitamente si tende ad abbondare, perché più facile poi togliere metri che aggiungerli). La teoria del signor Robert Johnson si basa proprio su questa sua ignoranza.
Ma facciamo un passo indietro. Quando il percorso di una maratona viene presentato in conferenza stampa mesi prima della data ufficiale della manifestazione, spesso non corrisponde al cento-per-cento al tracciato finale che verrà poi corso dai runner in gara. Questo perché nei mesi successivi (a volte capita anche nelle settimane precedenti alla gara) possono intervenire diversi fattori esterni (indipendenti dagli organizzatori) che lo possono modificare: lavori in corso decisi dal comune, restrizioni sulla sicurezza della prefettura, concomitanza con altre manifestazioni... variazioni anche minime, ma che si traducono poi in un differente disegno. Stessa cosa successa ad Abu Dhabi.
Sul percorso poi, spesso, vengono infatti inserite delle inversioni ad “U” (i famosi "giri di boa”) che servono a creare un “elastico" che possa permettere un aggiustamento del percorso (al millimetro) senza doverla andare a modificare la configurazione generale del tracciato.
Consideriamo poi il fatto che il percorso di Abu Dhabi (come ad esempio anche quello di Berlino) ha lunghi ed enormi viali dritti che permettono di avere un margine di errore di misurazione decisamente minore rispetto a tracciati più tortuosi (io stesso registrando il percorso in bici con il GPS, durante la gara, con il mio Garmin Fenix 5X Plus, dal chilometro uno al chilometro quarantadue, ho percorso esattamente 40,95 Km invece di 41!).
Perché questa premessa? Perché il signor Robert Johnson, per dare senso al proprio scoop, ha analizzato i parziali di gara (registrati ogni 5 Km) individuando in quello tra il 30 e il 35 Km un tempo (13’ 55”, ossia il parziale più veloce tra tutte le maratone del 2018) reso possibile (secondo lui) solo da una distanza non corretta dei chilometri di corsa. E per avvalorare la sua tesi, ha confrontato il reale tracciato di gara con il filmato di presentazione dello stesso, notando una discrepanza proprio all’altezza del 34 Km. Motivo per lui sufficiente per dire che il tracciato proprio in quel punto è stato tagliato di circa trecento metri.
In realtà (cosa di cui io mi sono accorto subito in corsa), il vero motivo di un parziale così veloce è semplicemente stata l’uscita di scena dei pacers, che stavano facendo il passo ai top-runner, al 30 Km e il successivo allungo di Kipserem e Kiptum, che hanno corso i successivi tre chilometri (a favore di vento) rispettivamente a 2’ 47”, 2’ 50” e 2’ 50” (come da registrazione del mio GPS). Nessun taglio del percorso. Nessuna misurazione sbagliata. Nessun chilometro più corto. Solo tanta tanta ignoranza.
Poi potremmo parlare anche di tante altre gratuità lette sui vari pseudo-siti di running. Tante piccole cose scritte senza mai verificarne la fonte o l’esattezza. Giornalisti (o presunti tali, dato che oggi ognuno può scrivere come e dove vuole senza controllo alcuno) che non si firmano, frasi e considerazioni riportate senza prendersene la responsabilità. La differenza la fa il professionista. Io scrivo. Io sostengo le mie idee. Io ci metto la faccia. Sempre.
Quella della Abu Dhabi Marathon è stata una grande avventura, sia in termini professionali che personali. Ho conosciuto persone splendide dalle quali ho imparato tanto e alle quali spero di aver dato tanto. Abbiamo affrontato insieme una grande sfida partendo dalle sue fondamenta, portando a casa un risultato (in)sperato, ma soprattutto meritato. Stanchezza e gioia che si sono fuse insieme sotto lo stesso traguardo. Il punto di partenza per il prossimo passo in avanti.
Ah! Dimenticavo... per venti giorni ho anche guidato una Maserati.