Lunghissimo silenzio
Doveva essere la giornata del primo lunghissimo. Sarebbe potuta anche essere la prima volta alla Venice Marathon. Invece tutto si è trasformato in un triste silenzio, davanti alla tastiera del pc in attesa che riprenda la diretta della maratona. Non è così che mi ero immaginato questo week-end, ma per una volta ho preferito ascoltare la testa (e i consigli di Fulvio) piuttosto che rischiare la presenza di Firenze. Magari con qualche secondo in più.
In effetti ero decisamente combattutto per gli allenamenti che mi sarebbero spettati nell'ultimo mese di preparazione. Due lunghissimi di trentasei e trentotto chilometri, alternati da altrettanti lunghi da venticinque. Elettrizzato per il sicuro beneficio che mi avrebbero portato in gara, terrorizzato dall'idea di doverli affrontare. Un po' per la fatica, un po' per il timore di infortuni. Ma le cose sono già partite in modo differente, subito dopo il lungo di sette giorni fa a Parma. Per tutta settimana, come già successo nel post Salomon Running Milano, ho avuto fastidio sotto al polpaccio della gamba destra. Non so se si tratti del soleo piuttosto che del tensore dell'alluce (lo scoprirò questa sera) o altro. Come allora ho pensato che con qualche corsa di scarico in settimana, tutto potesse riassorbirsi. Se si fosse trattato solo di affaticamento non ci sarebbe stato alcun problema. Ma già giovedì, durante le ripetute in pista, la situazione mi è sembrata più critica di quanto immaginato.
Dopo un giorno forzato di riposo, ieri ho riprovato con un lento per verificare la situazione. Inizialmente avevo pensato in una risoluzione, visto che il fastidio si è presentato anche sulla gamba sinistra nella stessa posizione. Ma, mentre lì è subito passato dopo i primi due chilometri di riscaldamento, sull'altra gamba la situazione non è migliorata. Anzi. Da qui la decisione di sentire il parere del prof. Massini e arrendermi all'idea di essere proprio in questo momento negli ultimi e più faticosi chilometri di allenamento.
Non è facile dire "mi fermo". Mai. Nè in gara, nè in allenamento. Che sia nei primi chilometri o che sia ad un mese dalla maratona. Si ha sempre paura di perdere qualcosa. Si ha sempre la speranza che le cose non peggiorino. Ma la realtà, ragionando a mente fredda, è che quando qualcosa non è a posto non bisogna correre. Per non peggiorarla. Sempre a mente fredda posso anche valutare che qualche giorno di stop (che tra l'altro corrispodneranno ad una trasferta di lavoro in terra austriaca) ad un mese dalla maratona potrebbero non essere così deleteri come successo invece ad aprile a Milano. Probabilmente pagherò qualche secondo (o minuto) in gara, ma l'importante sarà raggiungere quel traguardo che diventerà una nuova partenza. Riassaporare la gioia data dallo sfinimento degli ultimi chilometri, l'euforia di esserci riuscito ancora. Il viaggio che porta alla maratona è una maratona stessa, con alti e bassi, momenti di fiducia e sconforto. Questo probabilmente è il mio trentasettesimo chilometro. Ancora qualche metro e sarà passato. Allora poi, ci sarà solo l'allungo finale.