Salomon Running Milano
Che non fosse la solita corsa lo avevo intuito subito. Per questo sono anni che sogno di correre il Salomon Running Milano. Non è una semplice corsa su strada dove controllare il cronometro ad ogni chilometro. E non è nemmeno un trail in cui il tempo diventa illusorio. Forza, strategia, velocità, resistenza, tenacia che si mescolano insieme regalando un'esperienza che non ha eguali. Ma solo se si hanno le energie per resistere dall'inizio alla fine.
Non ho sbagliato a reputare il Salomon Running Milano una gara da non lasciarsi sfuggire. Anche se poi è da ben tre anni che mi scappa da sotto i piedi a pochi giorni dal via. Maledetti infortuni. Ma questa volta l'ho voluta e cercata. E finalmente l'ho fatta mia. Sarà che si corre nella mia Milano. Sarà che si gareggia finalmente con i primi freschi settembrini. Sarà che si attraversano angoli difficilmente corribili in altre occasioni. Tante sfumature che la rendono una gara unica. Senza averla mai corsa non potevo immaginare come realmente fosse. Pensare di prepararla come una qualsiasi altra gara non avrebbe avuto senso. Non basta correrla per vincere. Bisogna sopravviverle.
Il colpo d'occhio dentro l'Arena Civica con i tremilaseicento partenti sulle tre distanze (25 Km Top, 15 Km Fast, 9 Km Easy) è stato da grande manifestazione. Ma soprattutto un'aria di festa. Di ritorno a scuola dopo le vacanze. Per tanti, la maggior parte, anche il primo pettorale dopo la pausa estiva, per riassaggiare l'asfalto in un modo un po' diverso. Ma non tutti si sono aspettati quello che poi hanno incontrato per strada. Le partenze scaglionate ogni mezz'ora hanno permesso di non creare ingorghi lungo le strade di Milano e di non avere intralcio anche per chi ha corso un po' più forte. Ma anche di incitare al via chi per primo ha invaso le vie ancora semideserte.
Studiando il percorso sulla carta l'ho mentalmente diviso in tanti blocchi da superare in sequenza, come piccole tappe da raggiungere di volta in volta. Un piccolo tour da vivere in solitaria, ascoltando cosa le gambe avrebbero avuto da dire. La sequenza è stata quasi idilliaca per chi volesse vedere da vicino (da dentro) quanto sia bella (e dura) Milano. Partenza da atleti sulla pista dell'Arena Civica, Piazza Gae Aulenti con passaggio tra i grattacieli, Chinatown, Corso Sempione e primo assaggio della zona del Portello. Allungo fino a scalare il Montestella, la Montagnetta di San Siro, e ritorno al Portello con passaggio nel suo Parco. Attraversamento sulle balconate della vecchia Fiera Milano City e tuffo nel verde della Buca del Golf del City Life, prima di scalare i venti piani della Torre Allianz. Ritorno verso il Parco Sempione e la Triennale, Castello Sforzesco con passaggio dentro al suo fossato e passerella finale nuovamente in Arena. Tutto riassunto in venticinque chilometri. Tutto assorbito di passo in passo.
Si ringraziano Roberto Mandelli e Arturo Barbieri per le fotografie.
Non sapevo cosa aspettarmi. Ci ho pensato dietro la linea di partenza percorrendo a memoria tutto il percorso. Con la spasmodica voglia di fare bene e la paura di non essere ancora pronto. Ma, come succede ogni maledetta domenica, dopo lo sparo è diventato tutto bianco. Mi sono trovato proiettato nelle prime posizioni con un ritmo già troppo alto per le gambe e le strade transennate deserte davanti. Ho solo controllato al primo intermedio quale fosse la velocità di gara (3' 44"), sicuro di essere troppo veloce, ma solo per rassicurarmi che la fatica iniziale fosse dovuta alla solita foga. Prima tappa, Piazza Gae Aulenti. La prima parte di gara l'ho corsa tutta insieme a Pasquale (Cardillo). Uno di fianco all'altro, come capita sempre più spesso con gli amici in gara. Ritmo costante, un po' troppo veloce rispetto a quanto avrei voluto (3' 55" circa la media) ma ascoltando solamente le sensazioni.
Correre Milano al mattino, la domenica, è strano. Un silenzio quasi finto, interrotto dal crepitare dei passi che la attraversano. Le strade ancora bagnate dal temporale e immerse nell'ombra del sole troppo basso per guardare oltre i palazzi. I primi gradini li abbiamo incontrati per salire sul ponte delle ex-Varesine, in Piazza Alvar Aalto. Solo un assaggio, ma abbastanza per capire che sarebbe stata una mattinata lunghissima. Nonostante la fatica, passare tra i grattacieli deserti di Piazza Gae Aulenti ha ridato vitalità alle gambe, lanciandoci attraverso una Corso Como in ristrutturazione dopo i bagordi del sabato sera e la solita caotica e confusionaria Paolo Sarpi. Applausi di chi ci ha visto passare molto pochi, ma non erano quelli che stavamo cercando, più concentrati sul divenire che sul presente. Il passaggio sui ponti del Portello è stato il cancello che ci ha aperto la strada vero la Montagnetta, ormai verso i 10 Km di gara. Chi era partito troppo forte ha iniziato a pagare i primi dislivelli, tutti a gradini. Ma il peggio è inziato solo dopo.
Il Montestella ci ha regalato tre chilometri intensi. Sali-scendi continui tutti su sterrato. Prima un lungo passaggio su prato con ostacoli naturali, poi la rincorsa lungo i sentieri che la circumnavigano salendo piano piano verso la cima, fino al piccolo strappo finale prima di conquistare la vetta, attirati dal suono della cornamusa quasi fossimo eroi scozzesi sopravvissuti alla battaglia. Ma chi ha pensato (io) che dopo la cima le gambe avrebbero avuto il giusto riposo si è sbagliato. Discese e salite si sono attorcigliate lungo sentieri ghiaiosi, passaggi in single-track e viali alberati. E la fatica mi ha fatto rimanere definitivamente solo. Pasquale piano piano ha preso il largo. Prima qualche decina di metri poi via via sempre di più. Qualcun altro ha perso il suo passo e le posizioni si sono ribaltate più volte.
Solo qualche minuto di asfalto per raggiungere il Parco del Portello dove al 14 Km le salite sono ricominciate. Prima il lungo sali-scendi che costeggia il laghetto, poi l'infinito ruotare della sua collinetta. Sentieri che si sono intrecciati come su universi paralleli. Strade che si sono sfiorate ma non si sono mai incontrate come in un labirinto infinito. E ancora una volta, appena ritornati sull'asfalto una nuova rampa di scale, un nuovo ponte, un'altra salita. Quota recuperata col passaggio sulle balconate della vecchia Fiera Milano City, con i passi che eccheggiano sotto le tettoie e le graticole dello scolo dell'acqua. E da lontano l'ombra dei grattacieli del City Life che si avvicina.
Poco prima del 19 Km, quando ormai la mente è già proiettata sulle scale della Torre Allianz, quello che sorprende è il tuffo dentro la Buca del Golf del suo parco. Una discesa verticale, quasi impossibile da immaginare di correre se non solo dopo averci provato. I quadricipiti che urlano dal dolore arrivati a terra e la fatica che si quadruplica per il nuovo sterrato da attraversare prima di uscirne nuovamente. E' stato quasi un sollievo correre qualche centinaio di metri tra i giardini pieni di bambini, con le gambe provano a riprendersi dallo shock. Il ritmo nel frattempo è leggermente calato, assestandosi nei tratti più regolari sui 4' 05". Ma il peggio doveva ancora venire.
Si ringraziano Roberto Mandelli e Arturo Barbieri per le fotografie.
La Torre Allianz sovrasta il piazzale. Entrarci è stata come una liberazione. Il dubbio fin dall'inizio è stato come affrontare i venti e più piani da salire e poi scendere. E per una volta ha vinto la ragione. Qualcuno ha provato a superarmi subito, correndo in maniera forsennata lungo i primi gradini, ma pentendosene dopo poche rampe. A testa bassa ho affronatato la salita come si affrontano i lunghi sentieri di montagna, con calma e senza fretta. Passo regolare, un gradino alla volta, sfruttando l'aiuto delle braccia aggrappate alla ringhiera. Un vortice infinito che piano piano mi ha risucchiato verso l'alto. Neanche il tempo di gustarsi la cima, il panorama, gli applausi ed è stato tempo di ridiscendere, ancora più veloci, questa volta saltando i gradini di due in due, con precisa ripetizione, provando a resistere alla tentazione di farsi ipnotizzare dal ciclico ritornare sempre allo stesso punto.
Ancora cinque i chilometri prima dell'arrivo. Pensavo che una volta usciti dai grattacieli sarebbe stato il momento di dare tutto quanto rimasto. Ma la realtà è stata ben diversa dalla fantasia. Le gambe sono diventate come ingessate. Il fastidio al tendine degli ultimi chilometri addirittura scomparso e sovrastato dalla rigidità e pesantezza dei polpacci. Il passo che avrei voluto riportare sotto i quattro minuti come ad inizio gara, non è più sceso sotto i 4' 20". La strada che ci ha portato fin di fronte alla Triennale attraversando prima i bastioni di Parco Sempione è stato forse la parte più difficile mentalmente da affrontare, cercando di spingere il più possibile sulle gambe ma non avendo più risposta. Solo la vista del Castello Sforzesco ha ridato ossigeno al cervello, ricordandogli che ormai mancavano solo gli ultimi chilometri finali. E' stato più duro slalomare in mezzo ai tanti turisti giapponesi attratti dai monumenti meneghini in tarda mattinata, che rincorrere i viali che circondano il castello, fino a tuffarsi lateralmente nel fossato per un'andate e ritorno inedita e affascinante. Ho immaginato che fossero i coccodrilli dei cantastorie a rincorrerci dentro le sue mura alte e irraggiungibili, ed uscirne è stato più facile.
L'ultimo chilometro è stato quasi immaginario. Lo sforzo per aumentare il passo e non perdere posizioni ha ridato vita alle gambe. Ho ripreso l'unico avversario a portata prima di rientrare in Parco Sempione, controllando a distanza quello ancora più dietro. La vista dell'Arena è stata emozionante. Ho cercato Chiara e Tommaso senza trovarli attraversando l'arco di entrata e passando poi tra le due ali di pubblico. Poi l'ultimo salto sulla rampa di arrivo, per immortalare il momento. E mi sono ritrovato a terra, rotolante nell'erba, con le gambe che non hanno retto allo sforzo e i crampi ai flessori delle cosce che gridavano vendetta per l'ultimo balzo dopo 1h 43' 33" di continua sofferenza. Diciassettesimo assoluto. Non credevo realmente potesse essere così dura. Non credevo nemmeno potesse essere così bella. Difficile. Diversa. Le gambe mi ricordano che è più semplice raccontarla che correrla. Ma non sanno ancora che, tra un anno, dovranno rifare ancora tutto dall'inizio.