Tutta mia la città (nella notte)
Correre durante la quarantena per l’emergenza Coronavirus ci ha regalato nuove opportunità, nuove occasioni che mai ci saremmo aspettati di poter sfruttare. Neanche nei sogni più reconditi. E proprio nel tempo dei sogni ho riscoperto la bellezza di tornare correre. Prima come un ninja solitario, poi come il padrone della città.
Di necessità virtù. Quello che ho fatto in questi mesi di lockdown forzato. Dopo le prime ordinanze che ci hanno obbligati a rimanere chiusi in casa senza neanche più la nostra amata ora d’aria di corsa quotidiana, ci siamo trovati spiazzati. Ma ognuno ha trovato il modo di attrezzarsi per non rimanere fermo. Io inizialmente ho sfruttato i pedali e la mia amata Cinelli Veltrix Caliper per cavalcare il mondo virtuale di Zwift. Chilometri chilometri su e giù tra New York, Londra, Watopia, Insbruck, Richmond gustandomi nel frattempo qualche puntata su Netflix, fino a quando uscire di casa non è più stato solo un miraggio.
Duecentro metri, mezzo giro di pista d’atletica, attorno a casa, sono sembrati quanto di più bello ci potesse essere. Ma in realtà si sono presto trasformati in una nuova prigione, solo un po’ più ampia. Sguardi nascosti, dita puntate, ci hanno comunque fatto sentire fuoriluogo. Io personalmente non me la sono sentita di uscire alla luce del sole e slalomare in mezzo a passeggiatori di cani imbruttiti e mascherine messe alla bell’e meglio, con l’ansia di dover polemizzare in ogni momento o la paura che un vigile troppo zelante volesse porre fine al mio personale relax. Ho preferito cercare un momento che fosse davvero solo mio, dove potermi godere fatica, aria e sudore.
Così mi sono trasformato in un ninja runner, un runner notturno, solitario, bardato di nero, nascosto nell’ombra per non farsi riconoscere. Vedere. Sentire. Ho inanellato giri su giri, chilometri e chilometri, scanditi dall’eco dei passi, riconoscendo ancora ogni tanto, in lontananza, il richiamo di qualche ambulanza. E così ho imparato ad amare la notte, a creare un legame speciale con un momento solo mio, che nessuno ha potuto rubarmi.
Credevo che correre la notte fosse difficile, duro. Un po’ per la stanchezza accumulata durante il giorno, la necessità del fisico di riposare, la voglia di sprofondare tra le lenzuola, l’inusualità di correre col buio piuttosto che col sole. Invece è stato più facile di quanto credessi. Anzi. Rimanere qualche ora prima di uscire sdraiato sul divano a riposare, ha anche fatto sì che la schiena e le gambe potessero essere più rilassate e subito pronte. Superata l’immancabile non-voglia del momento, è stato tutto naturale. Come se la notte ricreasse il mio ambiente naturale. E anche dormire (poi), contro ogni immaginazione, è diventato più rilassante.
Ma la scoperta più grande è arrivata con la riapertura al running e alla possibilità di allontanarsi dalla propria abitazione. Avrei potuto farlo anche prima, senza che mai nessuno lo sapesse, ma ho preferito seguire le regole. A mezzanotte del 4 maggio (anzi in realtà qualche minuto prima) col calare delle notte sono uscito come mia consuetudine e mi è sembrato strano oltrepassare qual confine virtuale che fino al giorno prima segnava la fine del mio mondo. È stato come varcare un portale magico che mi ha proiettato in una nuova realtà. Il mondo si è aperto, l’aria di colpo è diventata più fresca e le luci dei lampioni filtranti tra le foglie degli alberi mi hanno indicato la strada. Ho corso su e giù lungo le vie della città, come se stessi correndo la mia personale maratona. In centro carreggiata, seguendo la linea ideale frammentata che mi ha fatto scoprire un nuovo paese.
Un silenzio assordante, l’eco dei passi scandito dai muri dei palazzi, le luci intermittenti dei semafori, le auto in fila abbandonate. Mi sono sentito come all’inizio di quei film catastrofici dove l’umanità sembra scomparsa. In poco più di quaranta minuti di corsa non ho incrociato nessuno. Ho solo seguito la mia ombra allungarsi e accorciarci, frammentandosi sull’asfalto. Ho solo sentito il mio fiato diventare corto e poi prendere il ritmo dei passi. Padrone nel regno dei runner.
Ma la tentazione fa l’uomo ladro. Non ho nemmeno resistito al richiamo del giorno. Appena ho potuto mi sono rituffato nella mia prima corsa diurna dopo settimane. Un giro studiato tra i sentieri deserti della campagna. Quelle strade contadine diventate abitudine per i runner. Ma con mia somma sorpresa riscoperte in queste settimane anche da altre decine di persone. Ho dovuto slalomare per rispettare i due metri di distanza prescritti dalle ordinanze, accelerare per evitare sguardi polemici, cambiare spesso strada per evitare portatori non patentati di mascherine. Un’ora d’aria diventata una sofferenza continua, con l’attenzione portata verso l’altro piuttosto che sul godimento del momento. Una continua ricerca di tranquillità, di normalità, evaporata sotto un solo primaverile fin troppo caldo. Così mi sono arreso.
Non è ancora tempo per noi. La corsa deve essere un piacere e non qualcosa ritagliato dal fastidio altrui. La fatica, il sudore, la stanchezza delle gambe devono essere assaporate per dare il loro beneficio. La corsa deve servire anche per ritrovare sé stessi, per dedicarsi un momento di sana normalità, per avere un obiettivo da raggiungere giorno dopo giorno. Correre più lontano per ritrovarsi ancora una volta in gabbia non ha senso. Non ne vale la pena. Io ho bisogno di altro. Di quelle sensazioni, di quei momenti, di quella libertà che solo la notte è in grado di regalarmi.