Nonostante tutto, Milano Marathon nel cuore
Era iniziata in diretta TV, senza neanche saperlo. Smorfie e sorrisi insieme ai compagni Corro Ergo Sum Runners (e non) in attesa del via. Una corsa bellissima. Dura, come dura è solo la maratona. La mia è finita al chilometro ventotto-virgola-cinque, quando la gamba ha ricominciato a farmi male. Sarà per il prossimo anno. Perché Milano Marathon sarà sempre la mia maratona.
Le sfide cominciano dove nascono i sogni... avevo scritto su tutti i social (facebook, twitter, instagram) di Corro Ergo Sum prima della partenza. E a volte si infrangono... aggiungerei ora. Ma rimangono comunque sogni dolci, ricordi indelebili, esperienze da non dimenticare. Perchè da tutto si impara. Comunque vada, e sia andata, è stata una festa a cui ho potuto partecipare. Anche senza essere arrivato a braccia alzate sotto il traguardo.
Ho voluto esserci ad ogni costo. Settimane di allenamento insieme al prof. Massini, partendo praticamente da zero nel dopo infortunio, che sono state una nuova importante sfida. Ma se non ci fosse stato il grande aiuto di Davide (Spotti) negli ultimi dieci giorni, per provare a recuperare dall'infiammazione al tibiale, non sarei riuscito nemmeno ad assaporare una fetta della giornata di ieri. A lui va il mio primo-e-grande grazie.
E' stata anche la prima-vera maratona da Corro Ergo Sum Runners. Divisa nuova, scintillante. Viola e arancio. Presentata per l'occasione. Come una vera squadra. L'immancabile Franco al mio fianco (o forse sarebbe meglio dire io al suo), il nuovo compagno Christopher e Liviana poco più dietro. E poi tutti gli amici Paolo, Tullio, Pier Luigi, Michele, Lorenzo, Stefano, Tommaso... chissà che la corroergosumrunnersmania non colpisca anche loro presto.
Corro Ergo Sum Runners alla Milano Marathon
La gara è stata esattamente come la immaginavo. Forse inconsciamente già sapevo anche che sarebbe finita così. Una tensione diversa, deviata più sui problemi delle ultime settimane che sull'obiettivo cronometrico da raggiungere. Strano. Ma non sono mai partito battuto. Testa alta fin dal primo chilometro, cambiando però quest'anno la griglia di partenza. Quella ufficiale. Quella dove partono quelli veri. Corsa controllata fin dai primi metri spalla a spalla con Franco. Con tutti gli altri ci siamo persi quasi subito, ognuno col suo ritmo e il proprio obiettivo. Navigatore impostato sui 4' al chilometro e qualche secondo in meno, per provare a raggiungere quel 2h 49' ancora nei sogni. Pubblico che spinge e salite-discese iniziali che confondono le gambe. E anche il gps, che tra curve e palazzi perde subito metri-veri rispetto al tracciato. In gara, forse, sarebbe meglio impostare i lap manuali (come fa il saggio Franco) invece di quelli automatici. Passo costante, in attesa che il fiato si spezzi il prima possibile, con subito il passaggio di grande rilievo tra Porta Venezia, Bastioni, ex-Varesine, ma comunque un po' troppo veloce (sempre sui 3' 52"). La foga (fuga) iniziale.
Amici e follower li ho trovati lungo tutto il percorso. Tra il pubblico, tra i volontari, tra gli stessi maratoneti. Grazie davvero a tutti. Un incitamento costante che non ti fa mai smettere di crederci. Una invisibile spinta continua. Un aiuto importante, fondamentale. Come quello di Daniele (amico di Corroergosum.it) al primo ristoro del quinto chilometro. Due volte ho cercato di raccogliere il bicchiere di sali e due volte mi è sfuggito. Lui da dietro ha visto e mi ha allungato il suo. E ci eravamo appena conosciuti. Questo vuol dire essere runners. Sono contento che almeno lui sia riuscito poi a tagliare il suo traguardo.
Percorso impeccabile. Qualche piccola modifica rispetto alla scorsa edizione, come nel passaggio in zona Montenapoleone-Scala-Duomo, senza perdere fascino, ma con un guadagno in termini di scorrevolezza. Meglio, tra l'altro, avere pavè e lastroni nei chilometri iniziali quando le gambe ancora non sono martoriate, piuttosto che nella fase finale di gara, quando anche il più piccolo granellino di sabbia si trasforma in una montagna da scalare. E per chi tanto denigra Milano per la sua non-sportività e contrarietà del pubblico, la sorpresa di una città amica. Strade chiuse su tutto il percorso, macchine lontane e clacson dimenticati negli annali di storia. Per i pochi superstiti, poco o nulla da criticare.
Primo quarto di maratona. Che a Milano significa anche bagno di folla. Il passaggio ai cambi-staffetta della Relay Marathon è un'iniezione di adrenalina. Un chilometro da correre senza respirare in un turbinìo continuo di mani tese, saluti, applausi. Un occhio puntato a terra tra asfalto e binari dei tram, l'altro sui volti di chi ti saluta cercando facce amiche. A chi critica tanto i numeri sproporzionati tra sfaffetta e maratona dico solo di provare prima di parlare. Forse stando zitti e correndo si potrebbe fare molto di più. Se Milano sta diventando grande lo si deve anche a questo.
Il nostro cronometro al passagio dei 10 Km ha segnato 39' 19" (3' 55" di media) in perfetto ritmo-finale grazie ai secondi guadagnati nei primi chilometri. Ma fatica che ha iniziato ad insinuarsi nelle gambe. Le prime centinaia di metri subito dopo i cambi-staffetta sono quelli più difficili. L'adrenalina scende ed è come se iniziasse a soffiare il vento contrario. Questione di attimi. E di testa. Ma in due, fianco a fianco, è più facile. Buone notizie dalla gamba invece, che è sembrata non subire nessuno scompenso dovuto al ritmo ed al percorso.
Con Franco siamo rimasti sempre appaiati, alla testa del nostro piccolo gruppetto, con qualche centinaio di metri di svantaggio da chi ci stava precedendo, inconsapevoli pacers di improvvisati compagni. E abbiamo lasciato scorrere Milano sotto i piedi, come su un tapis ruolant gigante. Prima Viale Washington dove abbiamo superato un nutrito gruppo di rosse maglie Enervit di scorta a dj Linus, mentre si dirigevano correndo al proprio cambio-staffetta sfruttando la strada libera da auto. Poi nella nuova zona del City Life, silenziosa nella sua solitudine di ampi viali circondati da palazzi e grattacieli, gioia-e-dolore di tante corse. Fino alla nuova Milano del Portello, insignificanti punticini colorati sul ruvido asfalto delle strade a doppia corsia che abbandonano Milano, salendo e scendendo da cavalcavia e sottopassi che ci hanno segnato inesorabilmente gambe e passo. Momenti di pausa dal clamore del tifo di centro città, svegliati solo di tanto in tanto dall'applauso dei tanti volontari a bordo strada e praticamente ignorati dai tanti automobilisti in senso contrario incolonnati come in autostrada a ferragosto.
Corro Ergo Sum Runners alla Milano Marathon
Qualche secondo perso qua e là, prima di ritrovarci già proiettati verso la seconda zona-cambio sul lungo viale che precede il Meazza. Ma in cuor mio sapevo già bene che qualcosa non stava andando bene. Sapevo che avrei incontrato Chiara&Co. ad aspettarmi a metà strada. Sapevo anche che sarebbe iniziata la nuova bolgia del cambio-staffette (anche se la zona San Siro è sempre quella meno coinvolgente ogni anno, forse un po' più dispersiva delle altre) con la conseguente dose di adrenalina. Ma sapevo anche che la fatica che stavo provando era fatica da trentesimo chilometro e non da giro di boa.
Abbiamo attraversato il gonfiabile della mezza maratona spaccando il secondo in 1h 24' 13" (3' 59" di media), dosando bene le forze e giostrando perfettamente il piccolo vantaggio iniziale. Il chilometro seguente è volato alle nostre spalle risucchiato dagli applausi e dalla voce della speaker fino al nuovo oblìo del dopo-endorfine. Ed ho cominciato a subire un po' di stanchezza. Mi è capitato più di una volta di avere qualche piccola crisi verso il ventiquattresimo chilometro. La stanchezza che comincia a fuoriuscire, la tensione che si allenta, la testa che arranca e deve iniziare a fare più forza. Crisi momentanee. Per cui ho solo decelerato leggermente accodandomi a Franco e Daniele e facendomi trascinare per qualche minuto, provando a farmi aiutare anche da un gel di sicurezza. Ma la situazione non è migliorata. Anche il giro intorno al Parco di Trenno è arrivato nel momento meno opportuno, col suo falsopiano che subisco immancabilmente ad ogni gara. Ho perso qualche metro anche se il ritmo non è cambiato, ma contemporaneamente il tibiale della gamba destra ha ricominciato a darmi fastidio. Ho pensato (sperato) ad una semplice influenza mentale, ma passo dopo passo il fastidio è diventato sempre più forte. Ho continuato, lasciando andare i miei compagni, cercando di recuperare passo e condizione, ma probabilmente la postura non più corretta ha solo peggiorato le cose. Ho diminuito il ritmo, iniziando ad essere superato dalle retrovie proprio nel lungo tratto periferico che porta in zona Molino Dorino, dove le auto sulla corsia opposta erano già incolonnate impazienti da qualche decina di minuti. Avrei avuto bisogno in quel momento di mani e occhi amici sul bordo strada, dove invece è finito tutto.
Al ventiseiesimo chilometro ho deciso di tirare i remi in barca. Inutile prolungare l'agonia per altri sedici corricchiando verso l'arrivo, con la sola prospettiva di peggiorare l'infiammazione in qualcosa di più grave. Ho solo pensato di raggiungere la fermata della metropolitana più vicina. E la mia maratona è finita lì. Per la prima volta. Non mi ero mai ritirato in maratona (se non per allenamento). Ho aspettato e visto gli amici recuperare strada e sorpassarmi, tutti con un sorriso e parole di conforto. Ma anche tanti già molto stanchi. Ho proseguito fino a quando il dolore non è cresciuto ancora di più e mi ha costretto a camminare. Ho stoppato il cronometro e per i successivi minuti mi sono trascinato a piedi, sognando solo una doccia calda. A farmi compagnia è arrivado poi Mario, autoconvintosi ad anticipare la sua fine quando mi ha visto. Anche rinunciare, in due, è più facile. La cosa che mi ha fatto più piacere è stato constatare che in molti hanno appoggiato la mia scelta. Corriamo per divertirci e per stare bene. E dopo i fatti delle ultime settimane (parlo di Stramilano e Ferrara Marathon) è necessario imparare anche a dare un segnale diverso. Ritirarsi non vuol dire essere codardi o deboli o sconfitti. Come andare oltre un ragionevole sforzo fisico non è da eroi o top-runner.
Mi sono ritrovato all'arrivo della maratona dall'altra parte delle transenne rispetto a dove ero partito. Il sogno di arrivare alla fine dei quarantadue chilometri correndo sotto i 4' al chilometro è rimasto nel cassetto. Momentaneamente. Ed ho partecipato alla festa aspettando i miei compagni. Applaudendo. Incitando. Dando un cinque. Alla spicciolata, ma sono arrivati tutti. Chi abbattuto da scorci di caldo improvviso, chi dai piccoli insidiosi strappi della zona finale del percorso, chi da un obbiettivo troppo alto. Qualcun altro invece vincitore. Qualcuno col sorriso, qualcuno senza più forze. Ma Corro Ergo Sum Runners ancora con due podi di categoria (Franco 3° nei SM50 con il nuovo personale di 2h 51' 10" e Liviana 1° nelle SF65).
Di una cosa sono sicuro. Il prossimo anno sarò ancora al via. Milano Marathon si merita di più. Molto di più rispetto a quello che riesce a raccogliere. La combinazione maratona+staffetta funziona. E non parlo di numeri. Mondi distanti, dai professionisti all'amatore alla prime armi, per la prima volta insieme. Paralleli. Dentro e fuori il percorso. Un modo per far conoscere da vicino una gara che per molti è solo un miraggio. Un racconto di amici. Io rimango dell'idea che la maratona non sia per tutti. Ma il running si. Emozioni che difficilmente si possono raccontare se non si vivono da vicino. Sotto il traguardo o dietro una transenna non fa differenza.