Pazza Milano Marathon
Pazza. E' stato il primo aggettivo che mi è venuto in mente per riassumere questa altra nuova Milano Marathon. Perchè per provarci ci vuole coraggio, ma anche la pazzia di non sapere a cosa si stia andando incontro. E' stata una sfida dal primo metro. Lucidità che si è persa per strada in alcuni momenti, ma anche consapevolezza di potercela fare. Ho passato gli ultimi giorni a ragionare sulla conduzione di gara, a confrontarmi con Fulvio sul possibile ritmo da mantenere, a cercare appigli e conferme con gli amici. Ma poi è stata la strada a comandare. Sono state le gambe a decidere dove andare. E' stata la testa a reggere il peso dei chilometri che passano. E stata la voglia di provarci a mandarmi avanti. Credo che sia stata una delle gare più belle e meglio condotte che abbia mai corso. Anche per quel finale sofferto e imprevisto che non è stato uno sbaglio. E' solo maratona. Le gare finiscono al traguardo, non all'ultimo chilometro e fino ad allora non è ancora il momento di cantare vittoria.
Si ringraziano Roberto Mandelli e Giovanni Garavaglia per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.
Mentre ero sdraiato sulla strada e Pietro (Colnaghi) stava tirando la mia gamba ho picchiato i pugni per terra. Non può finire qui è stata la prima cosa che ho urlato. Su quei lastroni in Piazza della Repubblica ci ero già passato quaranta chilometri prima. Spavaldo, fresco, sorridente. Pietro era poco più avanti di me e mi ricordo che lo stavo osservando con la sua canotta gialla mentre svoltava a destra verso la Stazione Centrale. Ed allora non sapevo ancora cosa sarebbe successo. Non avrei mai potuto immaginarlo.
Prima c'erano stati i minuti di attesa sulla linea di partenza. I saluti con gli amici in prima griglia per stemperare la tensione e il posizionamento per il via. I top runner tutti nel corridoio-marathon ufficiale di destra e per noi poco più che amatori (nel senso che amiamo la maratona) la strada aperta nella parte opposta delle transenne. Non mi era ancora successo di essere lì davanti, sulla linea, alla partenza di una maratona. Trecento metri affollati su Porta Venezia. La gente che applaude e che urla. L'inno nazionale della fanfara. E l'adrenalina che sale durante il countdown prima del via. Trovarsi proiettati a 3' 40" già alla prima curva sui bastioni è stato un attimo.
La strategia di gara è scomparsa subito al primo passo, sostituita dal bisogno di scaricare tutta la carica di emozioni sull'asfalto. Ma sapevo sarebbe andata così. Sapevo che i primi quattro chilometri sarebbero stati una roulette russa. Mi ero studiato bene il percorso, conoscendone già buona parte e l'andata-ritorno da Porta Venezia sapevo sarebbe servito a rompere il fiato. Primo chilometro bruciato in un attimo, quasi senza accorgerci. Strade larghe, tanta tanta tanta gente tutta addossata sotto la Porta. Una spinta sovraumana. Un piccolo assaggio verso la nuova Milano in zona Garibaldi e il passaggio deserto della Stazione Centrale. Peccato passarci così presto. Ma le gambe sono andate quasi da sole, senza sforzo. E' il magnetismo dei top poco più avanti che non ti lascia rallentare. La temperatura quasi ideale, mitigata anche dall'ombra dei palazzoni di centro città, dove il sole di prima mattina fa fatica ad infilarsi. La divisa Adidas perfetta. Ultimo strappo prima della pace. Ancora bastioni e di nuovo Porta Venezia. Applausi per tutti. Se dovessi correre a New York potrebbe diventare un problema.
Dopo il frastuono iniziale volato via in un attimo, ho cercato di prendere il controllo della situazione mentre siamo andati e tornati lungo i viali della circonvallazione interna, prima della nuova dose di pubblico in Piazza Duomo. Avrei dovuto regolarizzare il passo attorno ai 4' 05" al chilometro, ma non è stato semplice. Un po' più piano, un po' più veloce, condizionato dai piccoli sali-scendi delle strade fino ad una velocità di crociera un po' più alta attorno ai 4' 00". Sono state le gambe a suggerirlo e la testa ha dato il suo ok, rinfrancata dal ricordo della buona corsa tra Cividale e Palmanova di due settimane prima. Vista la freschezza e la facilità di corsa ho deciso di andare a sensazione, anche se in realtà avrei voluto provare a rimanere col freno a mano tirato almeno fino a metà gara. Ma non si può passare indifferenti sotto la Madonnina con la gente che applaude e i fotografi intenti a registrare ogni passo con le loro macchine fotografiche. Lastroni e sanpietrini hanno dato fastidio al passo, ma la muscolatura fresca ha reagito bene alle sconnessioni del terreno senza lasciare strascichi immediati alle gambe. Certo, mantenere il ritmo è stato più faticoso, ma la mente distratta tra monumenti e pubblico ha fatto passare tutto in secondo piano. Ero dubbioso inizialmente su questa scelta del passaggio in centro ad inizio gara, ma dopo averlo provato devo dire che è stata indovinata, come tutta la prima parte di gara, decisamente più emozionante che la vecchia transizione da Rho a Milano.
Dividere il percorso in blocchi è stato fondamentale per avere una spinta mentale in più. E dopo Duomo, Teatro della Scala, via Manzoni, e piazza Cadorna il passaggio a sfiorare il Parco Sempione è stato gratificante, almeno per gli occhi. Prime foglie sugli alberi, luce che filtra ancora bassa tra i rami, erba verde e percorso che zig-zaga dolcemente sulla collinetta che immette in via Pagano. Un po' di tranquillità, che complice del rilassamento mentale ha fatto andare le gambe veloci. Passaggio ai primi 10 Km in 39' scarsi. Ben oltre ogni rosea previsione. Ma sapevo di essere ancora solo all'inizio. Il bagno di folla successivo è stata una nuova scarica di adrenalina. Tutti i cambi-staffetta sono stati una vera spinta in più e spero che la Milano Marathon sia sempre affiancata anche da questa iniziativa solidale. Un chilometro dove è impossibile rallentare, con gli amici addossati alle transenne che urlano, sventolano le bandiere, applaudono, corrono insieme per qualche metro. Sentirsi chiamare, indicare, salutare, fotografare è la ricarica adrenalinica che acqua e sali non potranno mai dare. Una festa, quello che la maratona deve essere. Sorriso e fiato corto che mi sono rimasti ancora per i successivi chilometri.
Sono rimasto costante sul ritmo impostato, ma la tranquillità ha riportato la mia attenzione sulla corsa. E una delle parti più difficili è cominciata. Le gambe hanno iniziato ad essere un po' più pesanti, i passaggi in città più anonimi, il pubblico sporadico e un po' meno partecipe. Il lungo rettilineo che ci ha portati fino a Piazza Buonarroti è stato un passaggio conosciuto, con il leggero falsopiano verso la zona fiera. Ma come ogni volta, che si trovi ad inizio, metà o fine percorso, sempre faticoso. Le auto, che fino ad allora ci erano state lontane, hanno fatto la loro comparsa, con gli immancabili clacson di chi non sa leggere bene gli avvisi stradali. Pochi per fortuna. Lo scorso anno nella stessa zona avevo visto ben peggio. Ho avuto un po' di preoccupazione, pensando che in maratona al quindicesimo chilometro non si può ancora sentire stanchezza. Ma è tutta una questione di testa. E infatti il ritmo non è calato, alternando qualche chilometro più veloce con qualche chilometro più lento. Le fila si sono assestate e leggermente allungate. Io amo correre nella tranquillità, senza calca, senza il continuo sorpasso, l'attenzione di dover guardare dove mettere i piedi o l'ansia di non essere superati. Essere lunghi, in pochi permette anche alla testa di rilassarsi e così è stato.
Abbiamo girato attorno alla vecchia Fiera Milano City per prendere poi il lungo rettilineo che sfiora la nuova zona del Portello. Nuovi grattacieli, nuovi parchi che avremmo poi ritrovato una quindicina di chilometri più avanti. Ma prima i vialoni verso San Siro. Strade a tre corsie tutte per noi, con asfalto grosso e nero. Ma con la tranquillità di poter correre in scioltezza. Speravo saremmo rimasti in piano e invece tra il diaciannovesimo e il ventesimo chilometro abbiamo incontrato la prima vera salita, risalendo dal sottopasso che ci ha spinti verso il Monte Stella. Paura più mentale che reale, visto che il ritmo è rimasto praticamente costante per tutto il tratto. Chiara mi ha raggiunto in mountain-bike affiancandomi (defilata) per qualche chilometro. E la cosa mi ha dato tranquillità.
Che il passo fosse costante me ne ha dato conferma il passaggio della mezza-maratona in 1h 24' 02". Come tre anni fa, ma con una condizione fisica, mentale e climatica completamente differenti. Qui avrei voluto aumentare il passo se fossi stato bene, ma anche se fossi andato più piano. Così ho deciso di provare a proseguire allo stesso modo ancora fino al trentesimo. I chilometri successivi sono stati nuovamente facili, con la seconda sbornia di tifo al nuovo cambio-staffetta in zona ippodromo. Speaker che hanno tenuto alta la tensione per tutta la corsa, passo che è diventato leggero e il tempo di due chiacchiere con Roberto che mi ha scortato di corsa al di là delle transenne fin quasi allo stadio. Il tutto condito con una dose di carbo-gel che hanno dato nuova linfa alle gambe. Ma sapevo di stare per arrivare nella zona che sulla carta avevo reputato più ostica.
Si ringraziano Arturo barbieri, Giovanni Garavaglia e Chiara Veltri per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.
I chilometri tra il venticinque e i trenta sono quelli che dicono se uno ha la maratanona nelle gambe o no. Se inizia il crollo è poi solo una lunga via crucis fino all'arrivo. Se tutto va bene è solo una questione di controllare le piccole crisi nella parte finale successiva. E le mie paure si sono quasi materializzate dopo il ristoro del 25 Km. Tratto che ho sempre sofferto anche nel percorso delle vecchie prime edizioni della DeeJay Ten, quando si correva a San Siro. Leggerissimo falsopiano, poco pubblico e desolazione. Cosa che non mi ha mai fatto particolarmente amare il Parco di Trenno. Sono subito corso ai ripari con una nuova dose di gel, ma la testa ha dovuto combattere da sola. Fortunatamente il cronometro mi ha sempre dato conforto e una volta passato il cartello del ventottesimo chilometro ho ripreso tranquillità. Il percorso è corrisposto forse anche al tratto più brutto, con la strada che esce parecchio dal centro milanese fino ad arrivare in zona Molino Dorino e Pero. Sarebbe bello non doversi spingere in zone così periferiche, anche perchè il traffico aumenta notevolmente, soprattutto con il passare del tempo.
Svoltando poi sulla Gallaratese pensavo che avrei dovuto nuovamente rilottare con la testa. Ma così non è stato. Anche se ho leggermente rallentato il passo di uno o due secondi, il 30 Km è passato totalmente indenne con un perfetto 2h 00' 03" che mi ha dato nuovamente fiducia. Due mesi fa, quando per la prima volta avevo parlato con Fulvio di Milano Marathon, avevamo deciso di preparare la maratona per provare a stare nuovamente sotto le tre ore dopo un anno e mezzo di assenza dalla distanza. Poi, col passare delle settimane ci siamo spostati su un più ambizioso due/cinquantacinque anche se nei lunghi non avevo mai osato spingermi ad un ritmo più alto. Ma gli ultimi test mi hanno dato fiducia e allora ho cominciato a pensare. Immaginare. Programmare. Sognare. E nei sogni c'è sempre stato un quattro dopo il due finale delle ore. E allora ci ho provato davvero.
Correre a 4 min/km una maratona ha una proiezione di due ore e quarantotto minuti alti. A dodici chilometri dalla fine sapevo di avere un minuto abbondante da dover gestire prima del traguardo. Circa 6" al chilometro. Ed ho corso. Ho corso pensando all'arrivo. A quei duecento metri finali prima della fine. Ai tabelloni rosa e gialli. Alla passerella con il cuore che batte all'impazzata. A chi sarebbe stato lì sotto ad aspettarmi. E in un lampo mi sono ritrovato immerso nuovamente nel frastuono dell'ultimo cambio-staffetta, con le gambe spinte dalla voglia di andare ancora, con il pollice destro sempre alzato per ricambiare i saluti e gli applausi e la commozione per un passaggio emozionante. E sapevo anche che la parte di percorso più difficile era ormai alle spalle, con ancora i soli passaggi al Portello, Sempione, Castello Sforzesco, Arena e Garibaldi a separarmi dalla fine.
Caldo vero non ne ho mai avuto. Ho sempre bevuto a tutti i ristori, mi sono sempre bagnato a tutti gli spugnaggi, ho preso tutti i carbo-gel a disposizione per tempo. Psicologicamente inattaccabile. Le gambe hanno cominciato a sentire la stanchezza, con le immancabili fitte muscolari che si diffondono. Ma quella è la maratona. E il cronometro ha sempre dato un sostegno importante, incamerando secondi preziosi per il tempo finale. Il primo vero crollo però l'ho avuto al trentacinquesimo chilometro poco prima del ristoro. Curve e controcurve terribili, su una zona di lavori in corso, asfalto e cemento distrutti, una salita improvvisa dopo una curva a gomito per il passaggio sul ponte pedonale che immette nella nuova Piazza del Portello. Passaggio bellissimo quando i lavori saranno finiti, ma decisamente fuori luogo per una maratona. Fortunatamente il ristoro successivo ha ridato subito energia fresca prima della parte finale.
Già da qualche chilometro avevo iniziato a recuperare qualche posizione che, come dice Paolo, è un aiuto psicologico più che importante. Il contrario sarebbe deleterio. Gli unici che mi hanno sopravanzato sono stati i primi staffettisti della Relay Marathon, ma per loro c'era tutt'altro tipo di gara in previsione. Ho ripreso il ritmo lasciando qualche secondo qua e là, ma sempre con un vantaggio importante sul tempo finale. Chiara mi ha recuperato appena entrato sul lungo e infinito rettilineo di Corso Sempione. Due chilometri che sembrano non finire mai. Mi sono come isolato, in uno stato di trans, con lo sguardo fisso in avanti sul gonfiabile di Radio DeeJay a fine corso. Mi sono accorto di non essere più composto, con spalle contratte e le gambe non più reattive ai sobbalzi stradali. Arco della Pace, via Canova e poi ancora il passaggio al Parco Sempione. Prima sul sopralzo verde in mezzo agli alberi ancora più luminosi di inizio mattina, poi con l'attraversamente della Piazza del Cannone del Castello Sforzesco. Uno specchio di bianca polvere da accecare gli occhi. Davanti e dietro quasi nessuno.
Ma circa al trentanovesimo chilometro ho avuto il primo sobbalzo. Non so se la temperatura si fosse alzata, non ho mai sofferto caldo nonostante il sole e il cielo azzurro. Non ho nemmeno avuto una vera crisi, se non la stanchezza ormai accumulata che irrigidisce le gambe e ti fa andare avanti per inerzia. Improvvisamente ho sentito però tirare il flessore della gamba sinistra. Un piccolo crampetto, controllato immediatamente. Ho provato ad alzare la gamba per trovare un passo più regolare e ancora la stessa sensazione. Semplicemente ho diminuito il ritmo. Non perchè non ce la facessi, ma per evitare di peggiorare la situazione. E rifiatare leggermente prima della fine non è neanche stato male. Quando ho visto il cartello del 40 Km ho stretto i denti. Quante volte ho corso sul viale che porta a Porta Garibaldi. Curva a destra, lungo rettilineo, qualche lastrone e la salita che immette in Piazza della Repubblica. Chiara mi ha seguito incitandomi a distanza. Il flessore ha continuato imperterrito a mandare segnali poco positivi, io ho continuato a controllarlo. La salita non mi ha aiutato. Ho recuperato una nuova posizione e la discesa successiva ha ridato ritmo alle gambe. I bastioni di Porta Venezia sembravano non arrivare mai, con il gonfiabile dell'ultimo chilometro quasi sospeso nel tempo poco più avanti. Lo stesso gonfiabile che nemmeno avevo intravisto solo quaranta chilometri prima, fresco, motivato, voglioso di ritornare lì il prima possibile.
Non so se l'errore sia stato deconcentrarmi. Ho intravisto Pietro (Colnaghi) poco più avanti ma non ho nemmeno avuto il tempo di alzare una mano per salutarlo. Il flessore mi si è contratto improvvisamente bloccandomi la gamba. Ormai fermo l'ho tirato fino a far placare il dolore. Un chilometro. Ho ripreso subito a correre ma sono bastati dieci metri perchè il crampo ripartisse ancora più forte, piegandomi e facendone partire un secondo anche al flessore destro. Mi sono ritrovato a terra, sdraiato in mezzo all'incrocio sui lastroni della piazza implorando il capo dei vigili a pochi metri di tirarmi le gambe. Pietro ed un altro spettatore sono corsi ad aiutarmi subito, uno per gamba. Ho riprovato a rimettermi subito in piedi, ma al primo passo la situazione si è ripetuta ancora più forte. Di nuovo a terra. Incredulo. Un chilometro. Il chilometro più bello della maratona. Quei mille metri dove dare il tutto per tutto prima di intravedere il tabellone dell'arrivo. Dove si corre davvero contro il tempo finendo le ultime energie per quell'ultimo secondo in meno.
Rabbia. Quello ho provato. Ingiustizia. Picchiando i pugni a terra con Pietro che mi diceva di stare tranquillo. E runner che mi hanno sfilato di fianco riprendendo le posizioni che avevo poco a poco recuperato. Minuti che sono sembrati non finire mai. E l'ombra di una maratona mai-finita ad un chilometro dall'arrivo. Poi mi sono rimasso in piedi, cercando di non fare forza sulle cosce. Qualche metro di camminata. Il sentore che tutto potesse ripartire come un attimo prima. Un gruppo di spettatori qualche decina di metri più avanti è scoppiata in un urlo e in un applauso per aiutarmi. E ho ricominciato a correre. Prima piano. Poi sempre un po' più forte passando sotto quel maledetto gonfiabile nero. Le gambe hanno ripreso ritmo fino in cima alla salita con i muscoli ancora pronti ad esplodere in un fragoroso dolore. Chiara al mio fianco, Iacopo poco più avanti ad aspettarmi. Il sorriso avuto fino a qualche chilometro prima si è chiuso in una smorfia mista di rabbia e grinta ed ho corso giù dai bastioni per provare l'ormai impossibile. Dua ali festanti di pubblico in mezzo alle quali avevo sognato di passare raggiante. Gli incosapevoli invitati per una festa che sarebbe stata perfetta. Invece ho solo aumentato il ritmo, sempre di più, sempre più forte, sperando che tutto non succedesse ancora una volta prima della fine. Ho svoltato verso quell'arrivo sognato per chilometri, non vedendo però già più in lontananza quel quattro sognato che mi aveva accompagnato fino a lì. Un ultimo chilometro corso come il primo a 3' 40" e la fine segnata a 2h 52' 05" (62° assoluto, 4' 04" di media finale), a soli quattordici secondi dai miei migliori 42 Km. Ma è questo il bello della maratona. Sudare, sognare, provarci. La delusione è passata subito, contento di una corsa pazzesca, nata così, dopo lo sparo e chiusa come mai avrei potuto immaginare. Al di là del tempo finale quello che davvero conta è il viaggio. Correre e sognare. Un ingarbugliamento di sensazioni lungo quarantadue chilometri che danno poco spazio alla ragione. Fatica, sorrisi, sudore, ritmo, pensieri, previsioni, calcoli, imprevisti. E' quello che ti fa innamorare della maratona. Una festa, comunque vada. E la promessa che la prossima volta sarà diverso.