100 Km del Passatore... ultra-s Paolo
Adesso che ho visto con i miei occhi le facce di coloro che l'hanno attraversato, adesso che ho provato sulle due ruote di una bici le sue salite e le sue strade, adesso che ho toccato con mano la sofferenza e la voglia di chi ci ha voluto provare, adesso che ho scoperto nella notte cosa sia davvero la 100 Km del Passatore, adesso e solo adesso so che è un'impresa per folli. Follia, perchè è una prova che va al di là di una qualsiasi ragionevolezza umana. E forse perchè non è cosa che tutti possano (debbano) provare. Raggiungere i propri limiti e andare oltre. Molto oltre. Sapendo che sarà ancora solo peggio. Non è un caso se le ultime dieci edizioni sono state dominate dal solo Re Giorgio Calcaterra. L'Imperatore del Passatore. Lui ne è l'esempio. Ma lui non è folle. Lui non è nemmeno umano.
Ed è proprio questa sadica-magia a rendere unica questa corsa. Che non è una cento-chilometri. E' LA cento-chilometri. Dove non contano i numeri, conta la volontà. Conta avere rispetto per una gara che non può perdonare per sua stessa natura. A cui non si può sopravvivere (sportivamente parlando) senza sacrificarsi. Ad ognuno resta la sola scelta del dove e quando. Ho visto migliaia di persone accaldate, emozionate, all'ombra dei palazzi fiorentini al fianco di via dei Calzaiuoli confabulare su ritmi e tempi di percorrenza. Stilare tabelle e tattiche. Programmare ristori, analizzare le strategie. Le ho viste tutte schiantarsi lungo le salite ancor prima del cinquantesimo chilometro. Metà strada. I pochi sopravvissuti, pagare il dazio in quello che poi mancava nella loro avventura. L'unica arma possibile è la consapevolezza. Dei propri limiti innanzitutto. E di ciò a cui si va incontro poi. Sapere che di Calcaterra ne esiste solo uno. Mai mi sarei immaginato un percorso così duro, ostico, imprevedibile, pieno di ostacoli. Se fosse stato Dante a dare il via avrebbe semplicemente detto "Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate...".
Io ho semplicemente lasciato Paolo pochi minuti prima della partenza, anticipandolo di qualche chilometro al di qua delle transenne. Duemilaquattrocentoquindici sotto lo striscione del via. Una marea umana che si sarebbe dispersa lungo i primi chilometri tra le strette vie di Firenze prima di risalire le colline di Fiesole. Appuntamento all'inizio delle salite, al quinto chilometro. Così mi sono permesso di seguire Re Giorgio nei primi momenti della gara che l'ha reso immortale. O forse è il contrario. Passo laggero e fresco. Naturale. Di chi è nato per fare quello. Anche Paolo al suo arrivo dopo venticinque minuti di corsa aveva lo stesso sorriso. La consapevolezza di aver cominciato un'impresa.
Siamo saliti attaccando insieme la strada verso Fiesole. Salita repentina. Giornata perfetta, cielo azzurro e sole caldo. Ma solo per qualche ora. Dalle colline una Firenze mai vista, calma e immobile, immersa nel verde dei colli toscani. Mi sono fermato un attimo per gustarmi la vista e rincorrere poi subito Paolo. In salita ho scoperto che i piedi sono molto più agili delle ruote e ci ho messo un po' prima di riaffiancarlo. Solo altri cinque chilometri e poi una salita più dolce fino alla Vetta delle Croci. Sono però proprio freschezza e bellezza del contorno quello che rendono insidiosi i primi chilometri di gara, dove si rischia di essere trasportati dal troppo entusiasmo e correre troppo. Il cronometro deve essere l'amico che ti dice di rallentare ad ogni intermedio. La strada è lunga, troppo lunga, e non sentire subito la fatica sarà lo scotto da pagare poi più avanti. Ma girare la testa a destra e sinistra, vedere colline verdi e casali tra i filari, assaporare il profumo dell'aria primaverile, accompagnati dalla rincorsa delle nuvole che disegnano il cielo azzurro, è una distrazione alla quale è difficile rinunciare. Forse la parte scenografica più bella di tutto il percorso.
E le gambe (di Paolo) vanno. Insieme alla voglia di provare un'impresa. Insieme all'adrenalina che carica i muscoli pensando a quello che sta per arrivare. Chiacchieriamo, seguendo le curve, con un passo abbastanza costante. Dalla partenza ancora neanche una pausa. Se già in salita è stato difficile cercare di rallentarlo leggermente (5' 05"), l'impresa è stata ancora più ardua lungo la prima discesa che porta verso Borgo San Lorenzo (4' 40"). Le posizioni intanto si mischiano, con sorpassi improbabili di chi verrà raccolto poco più avanti e piccoli gruppetti che si mettono a ritmo assieme. Un classico delle lunghe distanze. Ma intanto i chilometri iniziano ad entrare nelle gambe. Anche nelle mie. Lungo il percorso si trova sempre pubblico, soprattutto formato dalle macchine in-movimento di chi fa assistenza ad amici e parenti. Il traffico aumenta con l'aumentare dei chilometri. Ma è lungo il passaggio nei piccoli paesi che si respira aria di festa. I bambini che fanno a gara per battere il cinque a tutti gli ultrarunner, i vecchi che organizzano ristori abusivi per dare un po' di pace a chi già è in affanno e i cordoni di persone che si formano lungo tutto il perimetro delle vie. Ma il vero spettacolo sono gli scollinamenti, dove l'accoglienza è da giro d'Italia. A Borgo San Lorenzo ci aspetta (in auto) Lorena, moglie di Paolo. Non per darci un passaggio, ma con il carico di acqua e sali per arrivare a Faenza. Mancano ancora sessantotto chilometri. E qui inizia anche la parte più dura (geologicamente parlando) di tutto il percorso.
Riprendiamo a salire, ma questa volta in maniera più morbida rispetto a Fiesole. E come nella più classica delle maratone dopo il trenta si comincia a fare fatica. Il paesaggio è cambiato. Le ombre si sono allungate già da qualche minuto e la temperatura ha cominciato a scendere. C'è ancora tanta luce ma la sera preannuncia il suo arrivo. Tutti si preoccupano di avere i rifornimenti pronti per arrivare in cima alla Colla. Le colline che ci avevano accompagnato per il primo terzo di gara lasciano spazio ai versanti scoscesi dell'Appennino poco lontano. E il passo di Paolo si fa più pesante. Il sorriso che fino a quel momento lo aveva accompagnato si comincia a spegnere, concentrato sulla fatica che nasce con l'aumentare del dislivello. Io seguo a ruota, un po' al fianco, un po' stando dietro in base al lato della strada che prova ad attaccare. Perdiamo qualche posizione, ma nulla di irrimediabile più avanti. Il peggio, quello vero, deve ancora venire. Come ad arrivare è anche la prima crisi.
Con Paolo alla 100 Km del Passatore.
Il passo si fa più pesante, le gambe meno sicure. E poco dopo Ronta la strada si impenna. Paolo, memore delle fatiche dello scorso anno quando la strada verso Feanza si era interrotta a metà, ricorda anche i cambi di clima che nelle ultramaratone possono essere ancora più devastanti rispetto ad altre gare. Cambio maglia. I secondi che perdiamo fermi non sono importanti. E' così per tutti, tranne che per gli extraterrestri. E appena voltata la prima curva una ventata di aria gelida ci risveglia dal torpore della salita. La strada sale e tanto. La via che attraversava le colline poco più a valle si è trasformata in una vera salita di montagna, tra curve, controcurve, tornanti e gli abeti a fare da spettatori. In ogni spiazzo è sempre parcheggiata un'auto in attesa dei propri passatori. Anche Lorena avanza a tappe, ma ad ogni nuovo incontro Paolo è sempre più tentato di prendersi una pausa più o meno lunga con scusa di sali e gel.
Gli ultimo otto chilometri prima dello scollinamento sembrano non finre più. Anche io che sono in bici fatico a salire. La pausa forzata per la mia doppia-maglia mi costringe ad inseguire Paolo che nonostante tutto ha preso parecchio vantaggio. Chi ha risparmiato gambe e fiato nella prima parte riesce a salire più agilmente, ma tanti si arrendono. Ogni chilometro in più aumentano i camminatori. Le soste alle macchine-assistenza si moltiplicano. Le smorfie di fatica diventano uno status perenne. Nessuno che parla più. Anche gli accompagnatori sentono il peso della situazione. Io al fianco di Paolo cerco di distrarlo il meno possibile. So cosa voglia dire star male. So cosa vuol dire passare dalla luce al buio. Ma non so cosa manchi ancora. Nonostante il ritmo si sia rallentato parecchio, il leggero vantaggio dei primi trenta chilometri ha dato un buon margine per l'arrivo. Ma più passa il tempo più è l'arrivo stesso a diventare un miraggio.
Quando avevo accompagnato Iacopo nella sua prima cento a Seregno era stata tutt'altra corsa. Un po' perchè ogni gara è gara a sè, ma soprattutto perchè non c'era l'incognita delle salite. Ed allora era stato facile e deducibile l'arrivo perentorio delle crisi. Soprattutto destinate a fine gara, quando la fatica arriva per inerzia anche per i più allenati. Ma il Passatore è un'altra cosa. Presenta il conto ancora prima del giro di boa, promettendo discesa e vita facile fino al traguardo, ma senza ricordare che tutte le energie se le è già prese prima. E così è stato per tutti. Non oso immaginare cosa possano essere stati per Paolo ed i suoi colleghi gli ultimi chilometri prima di arrivare al Passo della Colla se io, da accompagnatore, avrei voluto scendere dalla bici, caricarla in macchina e farla finita subito. Ma a me, a noi, è mancata la motivazione vera. Quell'impresa da compiere che rimane l'ultimo baluardo a cui aggrapparsi quando tutto il resto vien meno. E di chilometro in chilometro, tra una corsa e una camminata, un sorpasso ed una nuova curva, il 48 Km, l'inizio della discesa è arrivato (4h 25'). La voce dello speaker è scivolata lungo l'asfalto attirando tutti gli ultrarunner per le ultime centinaia di metri. E l'adrenalina data dagli applausi del pubblico, disposto ad arco lungo tutta la curva a quasi mille metri d'altitudine, ha ridato ossigeno alle gambe fino all'inizio della discesa.
Guardando la mappa altimetrica i cinquantadue chilometri che dalla Colla scendono verso Faenza sembrano essere una passeggiata. Una lunga passeggiata. Ormai il più è fatto. Ma chiunque abbia pensato così, sono sicuro che in Romagna non ci sia mai arrivato. Le gambe sono cariche di acido lattico per lo sforzo in salita, stanche per i chilometri lasciate alle spalle, la testa sfiduciata, lo stomaco già sottosopra. Condizione peggiore non ci può essere per cominciare una discesa che sembra non finire più. Paolo si è messo subito la maglia pesante, io ho fatto lo stesso, ma optando per il piumino. A quasi mille metri d'altezza, in discesa, con la sera che sta arrivando non c'è da scherzare. Ma soprattutto la prima cosa che mi è venuta in mente e che aspettavo ormai da più di un'ora è stata addentare il panino nello zaino. E se il mio corpo non vedeva l'ora di un po' di carburante non sono in grado di immaginare quali e quanti energie richiedesse per chi fino a lì era arrivato a piedi. Eppure fatica mentale e devastazione fisica hanno la meglio anche su quello.
Paolo ha cominciato subito a scendere prendendomi un po' di vantaggio, ma nonostante la strada questa volta a favore, il passo non è ripreso come sperava. La fatica della salita ha scoperto essere semplicemente fatica. Anche in discesa. Le gambe che avevano perso ritmo su un lato della montagna non l'hanno ritrovato dall'altro. La testa in perenne carenza di fiducia è solo continuata a peggiorare. Il bisogno di bere ogni due chilometri maschera semplicemente la carenza mentale che si è impadronita del corpo, che richiede liquidi solo per abitudine e non per reale necessità. Liquidi che si accumulano nello stomaco e che con lo sforzo eccessivo danno il continuo senso di nausea che accompagna ogni ultramaratoneta in crisi. E così è stato. Dal 55 Km in poi ho imposto a Lorena di fermarsi ogni cinque chilometri per forzare Paolo a correre un po' di più e a non arrendersi, anche se ormai la testa lo aveva quasi abbandonato. E il paesaggio non è stato certo d'aiuto, riproponendo boschi e tornanti anche sul lato opposto. Macchine e moto che hanno continuato a sfrecciare accanto ai runner sia in un senso che nell'altro, abbandonati nel nulla più assoluto. Ed è normale che nella testa di ognuno sia passata più di una volta l'idea di dire basta. E anche Paolo ci è cascato, riproponendosi di vedere che sarebbe stato a Marradi, al sessantaseiesimo. Ma non glielo avrei mai permesso.
Le posizioni intanto hanno cominciato a calare. Chi le ha avute con sè ha indossato le lampade frontali e le luci di segnalazione man mano che la sera ci ha coperti. Lungo i campi hanno cominciato ad apparire come per magia migliaia di lucciole a segnare la strada. uno spettacolo da immortalare. Da gustare. Ma non in quel momento. La situazione non è cambiata. Anzi. Contro ogni mia volontà, ogni due chilometri e mezzo Paolo ha sempre preteso da bere. Acqua. Acqua e sali. Acqua e gel. Mai niente di solido. Sapevo sarebbe stato pericoloso, ma è stato l'unico modo per provare ad andare avanti. Un po' camminando e un po' correndo. Dalle retrovie piano piano è arrivata anche la carovana di Davide Cassani che ci ha superato. Intanto le prime notizie davano Re Giorgio ancora primo e in fuga. Per noi, per Paolo, una possbile posizione intorno all'ottantesima. Ma il passaggio a Marradi tanto agognato si è presentato in maniera inaspettata.
Rispetto a tutti i paesi attraversati fino ad allora, lungo le vie e in piazza pochi o quasi nessuno a fare da spettatore. Lungo il tappeto del cancello cronometrico il solo giudice a controllare. Desolante. Non so se sia stata la situazione meno coinvolgente o qualcosaltro, ma all'uscita dal paese, anche in Paolo qualcosa è cambiato. Non subito, ma poco a poco la corsa ha ripreso vigore. Certezza. I sorpassi dalle retrovie sono diminuiti, il passo si è fatto più costante, la sicurezza nella sua testa più presente. Come se la notte, appena giunta, avesse portato davvero consiglio. Anche se trenta chilometri ancora da correre non sono mai sembrati uno scherzo. Nemmeno in bici. Non tanto per la fatica del pedalare, quanto per la devastazione fisica che comporta rimanere seduti su una bicicletta per più di sei ore, anche senza spingere, adagiati lungo la discesa della collina. Mani, spalle, schiena, sedere, piedi. Un tormento continuo. Ma con la certezza persistente che per qualcun'altro le cose stessero andando decisamente peggio.
E così è cominciata una piccola rimonta. Non tanto per un'accelerazione nel finale, ma per il naturale cedimento di chi sta più avanti. Primo fra tutti l'amcio Cassani, risucchiato alle spalle attorno al 75 Km (6h 57"). E man mano che ci siamo avvicinati e poi trovati in Romagna è cambiato anche un po' l'approccio alla corsa degli spettatori, per la maggior parte intenti ad applaudire e ad incitare tutti, ma seduti attorno ad una griglia e ad un buon bicchiere di vino. Cosa che sicuramente non ha fatto gola a chi si trovava a piedi, ma che ha suscitato parecchio interesse in me in più di un'occasione. E con il passo ritrovato di Paolo è stato anche più facile provare a trovare nuova linfa e nuove motivazioni per andare avanti. Nonostante la situazione fisica (e mentale) fosse sempre al limite non si è mai tirato indietro dal provare a sforzare un po' di più, procedendo però negli ormai suoi classici step da due chilometri e mezzo. Ma evidentemente ha funzionato. E non ritrovarsi da solo in mezzo al nulla, al buio ed al freddo credo sia stato di stimolo ed aiuto. Abbiamo ricominciato a chiacchierare saltuariamente, ricordandogli di tanto in tanto gli obiettivi da raggiungere: l'ultimo quarto di gara, l'ultima mezza, le ultime dieci miglia, gli ultimi dieci chilometri. Man mano che i chilometri sono passati, anche la sua voglia di arrivare ha ridato energie alle gambe e l'ho visto sempre correre bene, senza particolari problemi fisici o muscolari. E iniziare a recuperare posizioni sempre più frequentemente è stato il naturale scorrere degli eventi.
Poco prima della nostra ultima mezza maratona Re Giorgio stava per essere incoronato per la sua decima volta e lo abbiamo scoperto quasi in diretta telefonica. Pensare ad altro, distrarre la mente dalla fatica anche solo per qualche istante è una medicina assolutamente benefica. E gli effetti si sono poi visti alla distanza. Le colline sono scomparse, lasciando spazio a prati sempre più piatti, riconoscibili solo dalle ombre dei fari delle macchine che li hanno illuminati ad ogno passaggio. Ho avuto paura per una possibile ricaduta poco dopo l'80 Km (7h 23') ma tutto è invece proseguito per il meglio. Sempre meglio. Superare dà sempre fiducia e la fiducia ha ridato ritmo alle gambe che si sono rimesse sui ritmi più canonici tra i 5' 15" e i 5' 30". E siamo volati.
Gli ultimi quindici chilometri passando da Fognano, Brisighella ed Errano sono stati un continuo crescendo. Anche Paolo se ne è accorto e ne ha ricavato fiducia. Ma ha avuto anche la (poca) lucidità di non lasciarsi prendere troppo dalla foga di voler arrivare. Tra un'accelerazione, un recupero e una camminata ci siamo avvicinati a Faenza. Al 90 Km (8h 20') Lorena ci ha salutato per l'ultima volta per ritrovarci poi all'arrivo. E siamo rimasti soli. Per i restanti chilometri è stato un solo rincorrere le luci che ci si sono parate davanti. Ogni avversario è diventato un obiettivo. Prima uno, poi l'altro, poi un altro ancora. E quello dopo. Ad ogni sorpasso è sembrato che le poche energie residue di ognuno venissero assorbite al nostro passaggio. Il bip dei nostri cronometri che anticipavano di qualche centinaio di metri i cartelli ufficiali sono diventati solo la conferma che ormai la fine era vicina. E dal 95 Km in poi è stata un'escalation verso l'ultimo chilometro. Il ritmo è andato in crescendo di passaggio in passaggio, segno che la crisi è sempre stata più mentale che fisica. Ma ad ogni mio incitamento verso il successivo le gambe di Paolo hanno dato sempre di più. 5' 22', 5' 03", 4' 43", 4' 32"... qualcuno appena superato prova a sfruttare la scia, ma solo per qualche metro, dovendo poi arrendersi all'evidenza. Quando passiamo il cartello degli ultimi mille metri (4' 21") mi sembra impossibile credere che prima ce ne siano stati novantanovemila (e 1300 di dislivello). Ma è totalmente in trans agonistica. Corre bene, come se nulla fosse, come se una crisi non ci fosse mai stata, come se Firenze fosse dietro l'angolo, come se quella fosse l'unica cosa fare. Lo anticipo solo per un attimo al di là delle transenne dell'arrivo per immortalarlo sotto l'arco del Passatore: 9' 15' 20", 56mo assoluto. Posso solo immaginare cosa si possa provare nell'attimo in cui tutto finisce. In quell'attimo in cui si realizza che ciò che sembrava impossibile fino ad un metro prima è tutto vero. In quell'attimo in cui scorrono vorticosamente sensazioni, pensieri, emozioni raccolti in cento chilometri. Quando abbraccio Paolo sta piangendo. Ed è un abbraccio vero, sentito, perchè so, perchè ho visto quello che ha passato. Un briciolo di follia che mi ha regalato.
Un saluto va poi a tutti quelli che ci hanno provato, che siano arrivati alla fine o no. Non conta. In certe occasioni è più saggio dire basta. Grazie a tutti quelli che ci hanno visto e incitato, a chi ho conosicuto il giorno prima o alla partenza, a chi mi ha salutato durante la gara o alla fine. Di pazzi ho scoperto ce ne sono tanti. E un grazie anche a chi era a Cortina e Dobbiaco ed ha incrociato Chiara. Magari la prossima storia, sarà come la vostra. Intanto aspettiamo quella che ha da raccontarci Paolo...
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