Il mio Amico Ultraman... 100 Km di Seregno
È stata un'esperienza fuori da ogni comprensione. Ogni ragione. Ho sempre pensato che un'ultramaratona fosse una gara particolare, dura, difficile, più di testa che di gambe. Credevo che le crisi fossero come sui quarantadue chilometri, che sarebbe bastato tenere duro per passarle, prima una, poi due, poi tre. Fino alla fine. Pensavo. E ieri invece l'ho vista. In faccia. L'ho seguita per dodici ore suonate. Ho scoperto cosa vuol dire soffire, lottare, non mollare, anche quando non ti reggi più in piedi e il tuo corpo vorrebbe solo stramazzare a terra inerme. L'ho vista ma non l'ho vissuta. Sono stato spettatore, ma per questa volta mi è bastato. Ieri era il giorno di Iacopo, il mio Amico Ultraman.
100 Km. È da più di un anno che Iacopo vuole raggiungere il suo sogno. Cento fottutissimi chilometri. Lo scorso anno aveva dovuto dare forfait per gli infortuni dovuti al carico dell'allenamento. Anche in questi mesi i dolori e i problemi non sono mancati, ma ieri era al via. E c'ero anche io. L'ho sempre sostenuto, anche se io ho deciso di puntare su obiettivi diversi e per ora un'ultramaratona non è nei miei programmi. Ma quando vuoi qualcosa, lo puoi fare. E allora alle 8.30 di ieri mattina è iniziata la sua (nostra) avventura.
Tra i cinque e i seicento i partecipanti, gara valida per il Mondiale sulla distanza. Tante teste di serie sia nel maschile che nel femminile. Giorgio Calcaterra in testa a tutti. Per questo l'organizzazione ha messo delle restrizioni secondo me esagerate al regolamento, più che altro riferite a chi è lì solo per lottare con sé stesso e non con gli altri. Che senso ha vietare di portarsi appresso i propri gel, i propri sali? Che senso ha non permettere di dare assistenza a un amico? “Me ne frego" e al via ci sono anche io in tenuta ciclistica.
Tempo buono. Nuvoloni in cielo, ma un vuoto azzurro si apre proprio sopra di noi. I cento totali sono suddivisi in cinque giri da 20 Km ciascuno. Un supplizio per me. Preferisco di gran lunga non fare mai più giri, psicologicamente mi ammazza. Ma non è la mia corsa. Iacopone parte in fondo al gruppo con il resto dei martesani, si assesta sul suo ritmo e va. Dieci chilometri all'ora fino a sera.
Al primo giro lo lascio solo, è una passeggiata, un riscaldamento. Ci sono gli altri, il gruppo è ancora troppo unito e poi per me è meglio risparmiare fiato e gambe per la seconda metà di gara. Non torneranno prima di due ore per cui mi dedico a un po' di public relation con gli spettatori presenti e con chi parteciperà alla mezza. Ci sono Zio, Marco, gli amici di Sesto e conosco anche Rocco. Silvia va a riposare in attesa che il suo campione ritorni. Due ore passano in fretta e al primo giro sotto l'arco di arrivo è ben sorridente. Passano anche Simone, Roberto, Cesar, Massimo, Marco e Roberto. La nostra squadra. Io sono pronto in sella alla mia bici con zaino e macchina fotografica. La temperatura è scesa, nuvoloni neri si avvicinano quasi fosse la fine del mondo, ma noi siamo solo all'inizio.
Se il percorso fosse tutto a due corsie, sarebbe tutto più facile anche per me. Invece in alcuni tratti non c'è possibilità di stare fianco a fianco se non entrando sul campo di gara. Ma le fila sono ancora troppo corte e non mi va di sentire i continui rimproveri degli organizzatori. Vedo Iacopo bene e non è un problema lasciarlo solo per qualche minuto per ribeccarlo più avanti dove la strada si riallarga. Approfitto della buona forma, del passo e della poca stanchezza per un book fotografico e una internet-cronaca in tempo reale.
Inizia a piovviginare quando siamo solo al 30 Km. Vista la mia condizione finale dopo l'acqua presa domenica mi auguro che il tempo sia più clemente, anche se la mia cerata fa egregiamente il suo dovere. So che fino al quarantesimo starà sicuramente bene e il mio supporto è più che altro di compagnia, ma intanto mi studio i cambi di strada e il percorso per quando lui non sarà più lucido.
Torna il sole, fortunatamente e anche fin troppo caldo. La mia testa se ne lamenta ancora adesso. Lo abbandono poco prima del secondo passaggio al via e lo riaspetto insieme a Silvia e Anna che ci ha raggiunto. Sono le 12.30 e sembra un metronomo, 10 Km/h spaccati. Il terzo giro è quello in cui non so come reagirà. Controllo la postura e la respirazione e mi sembra ancora impeccabile. Certo un po' di fatica si fa sentire ma non siamo ancora a metà.
Il passaggio nel centro di Seregno verso l'ora di pranzo fa sì che il pubblico sia un po' più numeroso. Applausi e incitamenti non si sprecano troppo, ma per lo meno curiosi che si affacciano sulla strada transennata ce ne sono e anche parecchi. In più gli amici mi martellano con sms per sapere la situazione e anche su Facebook c'è chi ci segue affamato di notizie e immagini. Io faccio il mio dovere. Sono lì per quello.
Al cinquantesimo, metà gara, il cronometro segna cinque ore esatte. Mi stupisco sia della costanza che della situazione fisica. Oltretutto comincia a fare davvero caldo col sole che ci picchia in testa pesantemente. Gel e ristori sono controllati e ben cadenziati. L'unico che non ha ancora mangiato sono io.
Intorno al 53 Km (per loro 73 Km) sentiamo arrivare una moto dei vigili con luci accese, poco dietro i primi due che si stanno contendendo il titolo: uno spagnolo e Giorgione Calcaterra. Passano come fossero due alieni e non posso esimermi dall'urlare per il nostro.
Quando siamo alla fine del terzo giro, chilometro sessanta, la situazione è sottocontrollo. Lascio Iacopo per raggiungere Silvia al via e lo riaspetto al solito incrocio qualche chilometro più avanti. Quando lo rivedo qualcosa è cambiato. So che è solo testa, perchè lui stesso si aspettava la crisi del 62 Km, ma qualcosa purtoppo ormai è irrimediabilmente diverso. Un principio di nausea, un po' di stanchezza. Però il ritmo fortunatamente non è cambiato. Gli sto al fianco e lo sprono, parlo, dico stronzate per distrarlo dalla sua situazione fisica e gli faccio coraggio. Visto che di runners ce ne sono sempre meno sul circuito ne approfitto per entrare ogni tanto con la bici e seguirlo anche nei pezzi dove prima lo lasciavo solo.
L'ennesimo passaggio in centro nella domenica pomeriggio un po' aiuta a non pensare al malessere, ma appena ritornati sulle strade più deserte inizia l'oblio. La crisi non è ancora nel suo pieno, ma la vedo salire negli occhi di Iacopo che non parla più. Il senso di malessere comincia a vincere. Lungo il lungo rettilineo ciclabile che costeggia la Valassina cerco di distrarlo dai continui saliscendi e dal caldo che comincia ad essere pesante. Qualche foto e un video. Siamo al 70 Km. Comincio ad essere stanco anche io. I piedi ogni tanto si addormentano e braccia e sedere iniziano a farsi sentire. Ma adesso è il mio turno, so che sono lì per quello. Inizio un'interminabile escalation di panegirici, passando dall'incitamento alla rassicurazione.
Ma ormai Iacopo è totalmente fissato sul senso di nausea che ad ogni passo aumenta. Vorrei chiedergli come sta il tendine che nei mesi scorsi l'ha infastidito all'inverosimile, per distrarlo, ma ho paura che la testa agisca anche su quello poi. Gli ricordo il perchè deve arrivare alla fine, il nostro piccolo-grande segreto. E lui lo sa.
Poco prima dei 75 Km vorrebbe fermarsi ma lo sprono ad arrivare fino al ristoro senza camminare. Fermarsi una volta vuol dire iniziare una lunga serie di tira e molla fino alla fine e più in là si comincia meglio è, sia per il tempo di gara, sia per il calvario finale. Ma appena dopo essersi rinfocillato la crisi diventa veramente profonda. Un baratro. Neanche un centinaio di metri e decide di fermarsi. Io lo sprono a più non posso, anche urlandogli a tratti, cercando di dargli un po' di grinta. Ma non so cosa si possa provare in un momento tale, io non ci sono mai passato.
La nausea, lo stomaco è il problema grosso. Le gambe stanno bene, non ha dolori, ma lo sforzo fisico è concentrato sullo stomaco. E mancano ancora venticinque chilometri. Cerco di spronarlo facendogli capire che l'arrivo e l'inizio dell'ultimo giro sono solo a cinque chilometri. Dal retro qualcuno comincia a superarci con passo lento ma costante. Sono tanti quelli che camminano. Ma camminare serve a riposare corpo e mente, fermarsi, sedersi invece è deleterio. Cerco di farglielo capire ma senza risultato. Anche quelli che incontriamo lungo la strada salutano e incitano, ma il risultato non si vede. È una continua via crucis, pochi metri di corsa, qualche centinaio di camminata e poi vuole sedersi. Dalla postura, sempre piegata in avanti, si capisce che il problema è allo stomaco. Cerco di far sembrare il problema minore di quello che è in realtà. Ma lo vedo male, pallido. L'arrivo della prima donna (poi arrivata seconda, nda) lo distrae un po', ma solo riuscire a percorrere gli ultimi tre chilometri sembra un'impresa titanica. E manca ancora più di un giro intero. Sinceramente non so come potremo fare se la testa non lo aiuta. Ancora venti chilometri in una situazione simile mi sembrano un'infinità.
Non so come, trascinandosi e sedendosi ogni duecento metri riparte per l'ultima volta dal traguardo. Il passaggio in zona centro sportivo, dove lo accoglie uno striscione tra le mani di Silvia ed alcuni amici, per lo meno lo aiuta emotivamente, anche se poi il rientro in città rende il conto. All'83 Km lo stomaco l'ha vinta poco prima di entrare in centro. Iacopo è preoccupato per il ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma non si rende conto che ormai l'obiettivo deve solo essere arrivare. Il cronometro non conta.
Mi faccio consegnare il cronometro-gps. È pallido e smagrito. Corre ancora bene, ma le gambe non si alzano più. La postura è totalmente frutto delle sensazioni di malessere che prova. Poi vomita. Non so se preoccuparmi o no, ma cerco di farmi vedere tranquillo e lo rassicuro. E poi davanti a noi c'è il passaggio in centro e Massimo che ci aspetta poco dopo. Da balconi e finestre spettatori involontari assistono alla scena. Ma liberato lo stomaco, non in maniera indolore, il più è stato lasciato indietro.
Mancano ancora diciassette chilometri, una vita. Lo trascino con un fiume di parole aiutato anche da due involontari compagni di corsa che ci affiancano e scherzano con noi. Il problema rimane riuscire a rinfocillarsi ancora prima della fine. Ultimo giro nelle vasche piene di gente. Tanta questa volta. Al ristoro del 85 Km proviamo con della cocacola per sistemare lo stomaco e provare a prendere qualche zucchero. Ma dura poco. Dopo un chilometro è già tutto fuori ancora. Un gruppo di signori anziani assiste alla scena provando a dare i consigli più disparati. Sembra un film comico, ma Iacopo nemmeno se ne rende conto per quanto sta male. Ancora seduto. Ci vogliono più di cinque minuti prima che si riprenda. E di correre non se ne parla. Intanto tutti gli altri compagni di squadra, tranne Massimo, hanno dato forfaitintorno al sessantesimo. E non solo quelli della nostra. Ma noi non possiamo. Sono disposto a qualsiasi cosa pur di farlo arrivare.
Al chilometro ottantasetta troviamo entrambi i Massimo, uno che ci aspetta con macchina fotogrfica in mano, uno che ci raggiunge dalle retrovie. Un po' di linfa anche per me. Provano loro a spronarlo a dargli quel qualcosa in più che solo un pubblico lì per te può darti. Ed io so, all'insaputa di Iacopo, che poi all'arrivo ci saranno anche tutti i suoi amici ad aspettarlo, e allora dobbiamo andare avanti. Un Massimo ci saluta, l'altro ci supera e prosegue la sua battaglia personale.
Andiamo piano, ormai la proiezione è sulle dodici ore, ma solo io lo so. Continuo con la mia proverbiale insistenza come fossi una macchinetta. Comincia anche a fare reschino. Il sole scende e la sera si avvicina. Anche la crisi sembra passare poco alla volta, ma è la volta del fegato a lamentarsi. Un dolore che non gli permette di correre. Anche il fiato è corto. Le gambe vanno per inerzia. Non ce n'è. Procediamo a tappe. Ad ogni chilometro in meno cerco di creargli un riferimento mentale su distanze già percorse, dove la fatica non c'era, ma solo la voglia e il piacere di correre. Non funziona molto, ma non c'è altro da fare. Ma cento metri alla volta la fine si avvicina. I 10 Km/h dell'inizio sono diventati cinque quando va bene. Provo a spronarlo, a stringere i denti per avere una reazione di rabbia e verso il novantacinquesimo qualcosa succede. E in lontananza sembra anche arrivare un angelo. Il Cune a sorpresa, dopo averci seguito tutto il giorno da casa tra internet e telefono, ci corre incontro. Tiro anche io un sospiro di sollievo. Adesso siamo in due. Fianco a fianco a trascinarlo cone tirato con due funi invisibili. E lo scatto di testa c'è.
Dopo il 95 Km la situazione poco alla volta migliora, che vuol dire meno pause da seduto e un po' più di corsa. Cerco di tenere la tensione alta ridendo e scherzando anche con gli addetti alle strade che rivediamo per l'ultima volta. Il telefono squilla in continuazione aggiorno tutti sulla situazione. All'arrivo sono tutti pronti, ma non sanno che anche per loro, per lei, c'è una sorpresa. Lo ripeto a Iacopo e quello lo manda avanti più di qualunque altra cosa. Addirittura i tratti di corsa riprendono ad un ritmo accettabile, anche se più lenti dell'inizio. All'imbocco del centro sportivo lascio Iacopo e Cune e li aspetto all'ultima curva prima dell'arrivo con in mano lo striscione di Iacopo che mi aveva consegnato il giorno prima. L'ultimo chilometro sembra non finire mai. Io sono pronto a scattare verso l'arrivo. I minuti sembrano sospesi in un limbo, il sole sta scendendo. Ma arrivano. Do la sua sorpresa a Iacopo e so che ormai è solo trionfo. Lui corre, con il sorriso che aveva perso trenta chilometri più indietro e lo vedo arrivare a braccia tese sotto il traguardo mentre tra le sue mani stringono la sua vittoria più grande, per Silvia... "scusami se ci ho messo tanto amore... mi vuoi sposare?".
È un tripudio in mezzo all'incredulità dei pochi spettatori rimasti e una serie infinita di fotografie che testimoniano l'evento. Il cronometro ufficiale segna 11h 57'. La medaglia è al collo ma sono solo saluti, abbracci e commozione. Una festa. E io me la godo in disparte. Io ho fatto il mio dovere ed ho assistito per la prima volta da vicino a qualcosa che va veramente oltre il limite di una persona. E Iacopo ha vinto. Il mio Amico Ultraman.