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100 Km del Passatore... di Paolo Corsini

Un conto è vederla. Un conto è correrla. Per questo ho chiesto a Paolo di raccontare la sua follia. Cosa spinge la testa di un maratoneta a fare un passo ancora più in là. Cosa dà forza alle sue gambe per allenarsi ancora di più. Cosa deve sopportare il corpo lungo una sofferenza costante che sembra non avere fine. Perchè poi alla fine è solo una sfida contro sè stessi. Ce ne si accorge strada facendo. Avversari, chilometri, secondi passano in secondo piano. E si resta soli, ovattati, lungo una linea che porta dritta verso il traguardo. Il racconto di Paolo...

"Della 100 Km del Passatore ho sentito i primi racconti tre anni fa, quando la mia avventura di podista amatore era iniziata da poco più di un anno e avevo già avuto la possibilità di correre cinque maratone. Mi sono subito innamorato della maratona, non per altro definita la distanza regina: forse perché la prima gara della mia vita è stata proprio una maratona, quella di Milano del 2011, o forse perché è nella solitudine del maratoneta che ritrovo molti aspetti del mio carattere.

Una maratona è una distanza impegnativa, ma 100 Km… caspita, due maratone in sequenza e ancora 16 Km per chiudere il conto. Una cosa da pazzi, ho pensato, ma le imprese impossibili sono quelle che mi affascinano e dentro di me il nome e il mito di questa gara è da quel momento rimasto come un tarlo nella mente, un sogno prima o poi da realizzare. Mi sono ripromesso di pensarci seriamente non prima di aver completato dieci maratone e così è stato: il 24 Maggio 2014 ero a Firenze al via dell’edizione nnumero quarantadue di questa gara, che ho dovuto abbandonare esattamente a metà percorso dopo averne corso tutte le salite per i postumi di un infortunio alla schiena patito sei giorni prima della partenza.

Salendo sulla macchina quel giorno, poco dopo aver scollinato al passo della Colla, avevo promesso a me stesso che ci avrei riprovato e che avrei fatto mia quella distanza che, come ben dice il mio amico Dario, è da folli. Ed eccomi quindi il 30 Maggio 2015 nuovamente a Firenze per riprovarci, ma questa volta molto più sereno e consapevole dei miei mezzi. Perché sì, si può essere sereni anche sapendo di stare per iniziare a percorrere la strada che separa Firenze da Faenza, correndo lungo l’appennino tosco-emiliano con i suoi scorci meravigliosi e le sue salite impegnative. Ed era questa la mia sensazione alla partenza della gara, forte di aver fatto il mio dovere nei mesi precedenti macinando chilometri in continuazione (1.900 dall’inizio dell’anno) e di aver previsto a quale ritmo correre i vari settori. Però 100 Km sono pur sempre 100 Km, e per giunta di corsa… una roba da folli.

Arrivo a Faenza con Dario, che mi accompagnerà in bicicletta lungo il percorso, la sera prima della gara. Ritiro pettorale, cena sotto il tendone dell’organizzazione e passeggiata nella piazza che ventiquattro ore dopo sarà arrivo per i concorrenti del Passatore. L’atmosfera è meravigliosa e il pieno di adrenalina beneaugurante per l’impresa del giorno dopo. Sabato mattina viaggio in pullman con altri podisti verso Firenze: arrivo in centro alle 12:00, un piatto di pasta e si inganna il tempo prima della partenza incontrando vecchi e nuovi amici. Il clima è di festa, ma in sottofondo c’è per tutti la consapevolezza che ci si sta preparando per fare quella che sarà per ciascuno una vera e propria impresa. O una cosa da folli: questione di punti di vista.

Ore 15: si parte da via dei Calzaiuoli, il salotto buono di Firenze che collega piazza della Signoria con quella del Duomo. Un colpo d’occhio impagabile per i turisti che guardano 2400 podisti partire per correre una 100 Km e una emozione fortissima per me che sto iniziando la mia personale sfida. Perché si è in tanti a correre verso Faenza, ma il podista è per sua natura un animo solitario: del resto so bene che di momenti di solitudine ne vivrò in questa 100 Km, ed a questi mi sono tanto allenato negli scorsi mesi.

La prima parte del percorso presenta subito una bella difficoltà: la salita verso Fiesole. Siamo partiti da poco e le energie sono tutte a disposizione, quindi le rampe non sono così dure come può sembrare guardando l’altimetria. Superata Fiesole la strada continua a salire ma più dolcemente, fino ad arrivare alla Vetta Croci primo gran premio della giornata poco oltre i 500 m di quota. Sapevo, memore dell’esperienza dello scorso anno, che quello scollinamento l’avrei fatto passando tra due ali di folla ad incitare i podisti e così è stato: accelero in modo naturale in quegli ultimi tratti di salita, spinto dal pubblico e dall’adrenalina. Nella discesa seguente che mi porta verso Borgo San Lorenzo uso la testa: scendo regolare, cercando di non forzare e nei limiti del possibile di riposarmi così da prepararmi a quello che mi attende più avanti lungo la strada. Vedo qui la differenza rispetto alla mia gara del 2014, quando in quella discesa mi ero buttato letteralmente anima e corpo andando su ritmi molto veloci ma di certo non aiutandomi a preservare le energie per quello che mi avrebbe atteso dopo.


Con Paolo alla 100 Km del Passatore.

Siamo al 31,5 Km, primo traguardo intermedio di giornata in quel di Borgo San Lorenzo. Fa caldo, ma c’è tanta gente e nel passaggio tra le vie centrali sono tanti i bambini che allungano la mano per un cinque e gli adulti che incitano. Al passaggio sul tappeto del tempo faccio un salto per toccare lo striscione e farmi catturare in una posa inusuale dal fotografo appostato: il pubblico si diverte e io capisco di essere a posto fisicamente e anche attento di testa. Oltre a questo anche un po’ folle, perché saltare in quel modo con 31 Km sulle gambe e 69 Km che devo ancora correre non è proprio da sani di mente. Ma questo sarà il cliché di tutti i miei 100 Km. Esco da Borgo San Lorenzo e incontro Lorena, mia moglie: vedendola grido “ciao amore” guardando verso di lei, ma sul mio asse visivo c’è uno spettatore che pensa mi rivolga a lui. Povero illuso, non sa che il mio cuore è altrove: mi sorride dicendo ciao e io lo guardo con un misto tra ilarità e stupore. Mi fermo da Lorena, un veloce bacio e via lungo la salita che porta al passo della Colla, la cima Coppi del Passatore. Conosco questa strada: l’anno scorso l’ho sofferta metro dopo metro e so bene che è un continuo incremento di difficoltà e pendenza fino alla vetta, per 16,5 Km e 700 m di dislivello positivo. Anche qui cerco di usare una strategia studiata in precedenza: salire regolare, cercare di correre sempre e prepararsi alla parte finale che sarà quella più dura.

Salgo bene fino al 40 Km, regolare e senza particolari problemi. Mi fermo per un veloce cambio di maglia, sapendo che dopo quel punto la quota e il vento avrebbero abbassato sensibilmente la temperatura. Proseguo ma mi accorgo che qualcosa inizia a non andare per il verso giusto: inizio a sentire un po’ di nausea, non il migliore dei segnali. Mi faccio forza e proseguo, camminando nei punti dove sento di dover rifiatare. Gambe e fiato vanno benone, le pause in cammino servono più per tenere a bada la nausea e la testa che ai primi segnali di difficoltà cerca anche lei di mandarti ancora più in crisi. Perché è proprio vero: una 100 Km, se hai fatto il tuo dovere in allenamento per “farti le gambe”, è solo una questione di testa. E in 100 Km di crisi ne arrivano diverse, ma bisogna superarle senza che ci si faccia vincere dalle paure e dagli strani scherzi che la mente può giocare. Resilienza, così chiamano la capacità di sopportare le avversità cercando di raggiungere obiettivi che sono per loro natura difficili: di questa si nutrono i folli cento-chilometristi.

Scollino alla Colla, scendo 500 metri e trovo Lorena che è appostata per il cambio abiti. Mi cambio rapidamente, prendo un gel ma capisco che non tutto va per il verso giusto. La nausea è sempre presente, non fortissima ma fastidiosa e si insinua nella mente a minare quel castello di certezze che ho costruito in cinque mesi di allenamenti intensi. La discesa lungo Marradi, 17 Km che mi paiono interminabili, la percorro ben più lentamente di quelle che sono le mie potenzialità e non per altro sarà il tratto con la posizione in classifica più alta. Da 59° che ero in cima alla Colla scendo in 83° posizione, con la nausea che mi accompagna e nella testa una voce che continua a dirmi che ritirarsi a Marradi al 65 Km è onorevole, che avrei ricevuto una medaglia e il diploma. Ma io sono folle, ed è un anno che sogno di arrivare a Faenza. Dario e Lorena mi spronano a non mollare, anche prendendomi a male parole: era quello che ci voleva in quel momento. Passo Marradi e come per magia tutto scompare: la nausea svanisce e sento la testa che sta andando in altra direzione. Per usare una immagine non vedo più il bicchiere mezzo vuoto, ma solo quello mezzo pieno.

Parto con la mia rimonta, impostando sul momento una tattica di corsa un po’ strana ma che ha funzionato: Lorena ci aspetterà ogni 5 Km con i rifornimenti, mentre Dario mi accompagnerà dandomi da bere ogni 2,5 Km. Mi impegno a correre, e meccanicamente corro ancora bene, fermandomi a camminare per un piccolo tratto solo quando berrò. Vado avanti in questo modo dal 65 Km sino al 90 Km, continuando a superare atleti. Nel frattempo scende la notte e davanti a me vedo solo puntini luminosi che nella mia personale azione di recupero diventano dei piccoli traguardi semoventi che devo andare a prendere e superare. Le lucciole nei prati sono testimoni curiose e bellissime: correre la notte lungo queste strade è indescrivibile, va provato per capire cosa si prova. Dario mi parla poco, perché ha capito che in questo momento ho ripreso in mano le redini del gioco: la crisi è superata e rispetto a chi incontriamo sto correndo bene. Al 90 Km mandiamo avanti Lorena fino a Faenza, così che possa parcheggiare e arrivare in piazza in tempo. Riparto salutandola e inizio a martellare: fino al 94 Km corro, poi un sorso d’acqua senza fermarmi e giù di nuovo a far mulinare le gambe. I tempi al chilometro scendono e continuo a prendere sempre più fiducia. Dario mi sprona ad andare a prendere tutti coloro che sono davanti a noi, al punto che negli ultimi 10 Km supererò dieci concorrenti sino ad arrivare alla 56° posizione della mia classifica finale. Al 95 Km rilancio ancora, e i chilometri seguenti saranno una costante progressione sotto ai 5 min/Km fino all’ultimo chilometro. Al 99 Km c’è uno speaker che legge i numeri di gara degli atleti: quello davanti a me, ha venti metri di vantaggio, ha il pettorale 2259 mentre io ho il numero 2260. Lo supero di netto, prova a seguirmi in scia ma dopo una cinquantina di metri deve mollare e mi grida “vai Paolo”: scopro nei giorni seguenti che mi ha riconosciuto mentre lo superavo, ci leggiamo su Strava. Piccolo il mondo, eh?

L’ultimo chilometro è forse il più bello che abbia corso in vita mia: sono in piena trance agonistica come mai mi è accaduto in tutte le gare alle quali ho partecipato, viaggio sul filo dei 4 min/Km e sono in spinta completa come durante un 5000 in pista. Eppure ho 99 Km sulle gambe, con oltre 1000 m di dislivello positivo, una bella crisi superata e una testa che mi voleva far ritirare cinquanta chilometri prima. In quel momento non penso a niente se non a correre più forte che posso, per andare a prendere gli altri atleti che ho davanti a me, e in cuor mio vorrei che quel chilometro non finisse mai. Forse è estati dell’atleta, non lo so: di certo è follia. E in quel momento, per quel chilometro che è passato veloce ma mi è parso non finisse mai, mi sento invincibile.

Vedo le luci della piazza e a 50 m inizio a gridare dalla gioia: ho vinto io questa volta la mia sfida. Passo il traguardo come faccio ad ogni gara, a braccia alzate, ma questa volta sento che me lo merito davvero questo gesto di vittoria. Un segno della croce, vedo Lorena dietro le transenne e corro ad abbracciarla. Arriva Dario e piangendo abbraccio forte anche lui, e sorrido. Nei mesi scorsi avevo immaginato molte volte questo arrivo e le emozioni che avrei provato tagliandone il traguardo, ma quello che è poi accaduto non ha nulla a che vedere con quanto avevo sognato. Sto bene, non ho dolori particolari: non sono quello straccio che si può pensare ci si riduca ad essere alla fine di una 100 Km. Penso che l’indigestione di chilometri di questi ultimi mesi e i tanti allenamenti a qualcosa sono serviti: ho costruito gambe forti per correre 100 Km, ma il 30 Maggio ho sicuramente guadagnato una mente che può supportare una impresa di questo tipo. E questo implica anche quel po’ di follia, che così poca non deve essere a quanto dicono, che bisogna avere per correre la 100 Km più bella al mondo.

E ora? Resta il ricordo di emozioni che le parole non possono raccontare e che resteranno indelebili nel mio cuore, assieme a quello che gli occhi di chi mi ha accompagnato in questo viaggio sono stati capaci di dirmi. E con questo due certezze. La prima: è difficile, ora, che qualcosa nella mia vita mi possa fare veramente paura al punto di non volerla affrontare: io ho corso per 100 Km lungo la strada che da Firenze porta a Faenza. 100 Km, ma ci pensi? Roba da matti. La seconda: che su quella strada ci ritornerò. Perché 9h 15’ 15’’ è un signor tempo per un debuttante sulla distanza, ma io volevo chiudere sotto le nove ore. E ho capito cosa mi serve per fare meglio di questo. E questa è l’ulteriore, definitiva conferma che solo i folli corrono il Passatore."

→ Leggi anche: 100 Km del Passatore... ultra-s Paolo: il mio racconto