Whereabouts, doping e giornalettismo
Quello che più mi dà fastidio è leggere notizie scritte solo ed esclusivamente per fare sensazionalismo. Non è questo che dovrebbe fare un giornalista. "Doping: deferimento con richiesta di squalifica per 26 azzurri dell’atletica" non è un titolo che rispecchia la realtà ma solo aiuta a vendere i giornali. A fare polemica. Ad alimentare le masse. A raccontare quello che solo qualcuno vorrebbe.
Sicuramente ci sono poteri forti che vogliono avere la loro parte. Come ci sono persone che pur di farsi sentire sono disposte a rovinare la reputazione di altri. Poi dietro corre la massa che appena legge un titolo (e non tutto l'articolo) si schiera a favore e contro in base a dove tira il vento o dove fa più comodo. Questo è il potere che la distorta-comunicazione ha acquisito grazie alla indiscriminata falsa-democrazia da social. Quando ieri sera ho letto di sfuggita il primo dei tanti articoli pubblicati a riguardo, mi è subito venuto in mente il caso, già alla ribalta qualche mese fa. Possibile che solo io me ne sia ricordato? E già all'epoca non si è mai parlato di doping. Mi ricordavo qualcosa riguardo la reperibilità e la comunicazione. Così mi sono documentato un po' prima di trarre conclusioni facili e affrettate.
Di cosa si parla? Di reperibilità. Ogni atleta deve rendere noto agli organi federali dedicati dove si trova in determinati periodi e ai suoi possibili spostamenti per rendersi sempre disponibile ai controlli antidoping. Semplice. Non si parla di positivià. Quindi cosa è successo? Nel periodo 2010-2012 qualcosa non è funzionato nel sistema #whereabouts e molti atleti hanno mancato il controllo o non hanno dato comunicazione della loro reperibilità. Questo è il punto. Non ci sono dopati (o meglio uno ci sarebbe, Alex Schwazer ma addirittura non è presente tra i 26 indagati ma tra i 39 scagionati) né presunti né confermati. C'è solo un sistema (italiano, del CONI) che all'epoca ha avuto delle falle. E' troppo facile adesso andare ad accusare solo i diretti interessati senza vedere davvero di chi sia la colpa. Le comunicazioni della Federazione sono davvero arrivate a tutti secondi i termini previsti o ha avuto degli intoppi? La comunicazione degli atleti è davvero mancata o può esserci stato un canale non funzionante? I regolamenti erano davvero chiari? Gli organi preposti hanno collaborato tra di loro tutti nella maniera corretta per verificare le possiili falle del sistema? Non voglio difendere nessuno a spada-tratta, ma prima di condannare qualcuno forse si dovrebbero avere le prove (ah già, questo è anche uno principali punti deontologici del giornalismo). E infatti al momento, a differenza di quanto scritto da molti, non si parla di condannati per doping ma di deferiti. Cosa che per me va già oltre il limite concesso.
Sottolineato che io sono totalmente contro il doping e che la penso esattamente come Valeria Straneo (leggi l'intervista esclusiva) sulla squalifica a vita per chi ne viene condannato, mi sembra ci siano delle chiare contraddizioni in quanto accaduto ed esposto. Partiamo dalle dichiarazioni di Alfio Giorni, presidente Fidal: «Totale fiducia nell’operato della Procura Antidoping del Coni. Mi auspico una rapida conclusione dell’iter giudiziario. Vorrei ricordare che il Consiglio federale attualmente in carica ha stabilito il 28 febbraio dello scorso anno che gli atleti, al secondo mancato controllo e/o mancata comunicazione, perdano ogni forma di assistenza da parte della Federazione; ed inoltre, che lo stesso Consiglio ha varato il 20 dicembre 2013 il “Codice etico dell’atletica italiana”, che prevede, tra le altre cose, l’automatica esclusione dalle squadre nazionali per gli atleti condannati a pene superiori ai due anni di squalifica per fatti di doping». Tanto di cappello per la lotta al doping, ma qui si parla di fatti anticedenti le date da lui citate. Si parla poi di esclusione dalle Olimpiadi di Rio per gli atleti in profumo di nazionale coinvolti. Peccato che alle Olimpiadi manchino circa nove mesi e che probabilmente le indagini andranno ben oltre quella data. Ma ce n'è ancora. Come detto più sopra, proprio negli anni incriminati (2012) Alex Schwazer, reo confesso, è stato condannato per doping, eppure risulta tra gli atleti non più indagati dalla Procura. Evidentemente l'importante è comunicare, non verificare l'effettivo l'uso di sostanze illecite. Anche perchè i controlli fatti sui 26 atleti in quel periodo sono risultati comunque tutti negativi. Ma la domanda più interessante è: come mai gli stessi atleti indagati (tutti e insieme!) non hanno mancato controlli e comunicazioni nel sistema mondiale gestito dalla IAAF ma solo in quello italiano? Lascio a ognuno la risposta più ovvia.
La mia è un'analisi anche abbastanza semplice. Ci sarebbero tanti fattori da analizzare e approfondire. Ma basterebbe non soffermarsi solo alla superficialità delle cose per capire che non tutto è sempre come lo raccontano. Che qualcuno abbia sbagliato è chiaro. Limpido. Quello che andrebbe fatto è capire dove è la falla. La colpa ptrebbe essere davvero degli stessi atleti. Oppure potrebbe essere della federazione che ha gestito il sistema. Ma è troppo facile puntare l'indice. O fare in modo che la realtà venga distorta per i propri comodi. Qui non siamo in Russia. Là almeno qualcosa vincevano...
Di seguito lascio qualche dichiarazione dei diretti interessati.
Ruggero Pertile: "Ciao, ho letto molti commenti, ma in merito, tengo a precisare che NON siamo accusati di doping o mancati controlli, ma di problemi di mancata comunicazione. Il sistema whereabouts inizialmente complesso non funzionava in quel periodo. Lo abbiamo evidenziato alla procura che proseguirà con le indagini. Non ho mai pensato di usare scorciatoie e Mai lo Farò!"
Silvia Salis: "Innanzitutto ci tengo profondamente a precisare che quella di cui vengo accusata non è una vicenda di doping ma di problemi di ricezione della reperibilità da parte del sistema Whereabout, con il quale il Coni monitora lo spostamento di ogni atleta. Chi mi conosce sa che in 15 anni di carriera mi son sempre battuta contro il doping e contro chi ha sporcato il nostro sport, prendendo anche parte a campagne di sensibilizzazione tra i giovani. Per quello che riguarda l'accusa, l'unica cosa che mi sento di dire è che il sistema aveva falle tecniche. Fino a qualche anno fa il sistema era cartaceo: la Fidal mediava i nostri rapporti con il Coni, noi mandavamo reperibilità via fax (nel 2011!) e loro la comunicavano al Coni. Sono in possesso di documenti e-mail provenienti dalla Fidal nei quali io, sorpresa che non avessero ricevuto la reperibilità, chiedevo spiegazioni. La giustificazione (che ancora conservo) è stata data al malfunzionamento del fax che è durata qualche giorno nell'inverno tra il 2010 ed il 2011. Basterebbe solo questo per spiegare in che situazione fosse lo stato della comunicazione della reperibilità all'epoca. Successivamente dal fax si passò ad una piattaforma informatica, che presentò da subito problemi di funzionamento: anche in questo caso ho prodotto documenti riguardo all''immissione della password ed alla generazione calendario. Vi faccio un esempio: a Londra appena arrivata mi ero registrata al villaggio olimpico, ma il responsabile sanitario del Coni mi disse che non risultavo al villaggio. Insistendo sul sistema, aiutata dai sanitari Fidal, sono riuscita ad aggiornarlo, ma è un altro esempio eclatante per capire cosa è successo. Oltretutto, nel caso ci siano inadempimenti, mancate comunicazioni di reperibilità o mancati controlli, la procura è tenuta a mandare all'atleta una raccomandata con ricevuta di ritorno che rappresenta un'ammonizione, ed alla terza scattano le sanzioni. Nella mia vita non ho mai ricevuto ammonizioni riguardo alla mancata comunicazione reperibilità, la mia unica ammonizione ricevuta è stata nell'estate 2014 per un supposto mancato controllo. Ho fatto subito ricorso producendo documenti e dimostrando la negligenza delle altre parti in questione nel reperirmi, e il ricorso l'ho vinto: questo rappresenta il mio unico contatto con la Procura Antidoping in 15 anni di nazionale. Posso parlare solo per me perché conosco la mia situazione, ma nei corridoi della procura ho potuto riscontrare nei giorni delle audizioni di altri atleti che il mio era un sentimento comune di grande frustrazione per esser stati coinvolti in un malfunzionamento delle strutture e dei sistemi preposti. Certa che la vicenda sarà risolta positivamente per me, ribadisco la mia assoluta estraneità a quello di cui sono accusata e confido nel buonsenso della giustizia sportiva, augurandomi che in futuro vicende del genere non accadano più, specie in un periodo molto buio per l'atletica leggera."
Migidio Bourifa: "Ho deciso di scrivere anch'io per solidarietà verso tutti quegli atleti che come me sono stati infangati per colpe a noi non imputabili. Un sistema che all'epoca dei fatti è stato mal gestito e non funzionava per niente, comunicazioni che non arrivavano e poca chiarezza nel funzionamento del sistema ''whereabouts''. Sono sempre stato a favore della giustizia federale e nello smascherare chi bara, ma qui mi pare un paradosso incredibile dove bisogna per forza punire innocenti per dimostrare un operato. io non sono più in attività ma mi immedesimo e mi dispiace molto per quegli atleti che hanno ancora dei sogni e progetti ambiziosi alla quale oggi è difficile dare entusiasmo. Grazie a tutti per il sostegno."