46 e sentirli tutti
All’anagrafe sono già un ultramaratoneta. Non tanto per i chilometri corsi su strada, quanto per quelli compiuti. Più i chilometri aumentano, più è necessario abbassare il ritmo e ascoltare la testa. Guardare indietro e imparare a godersi quelli che mancano all’arrivo.
Credo sia la prima volta che non riesco a festeggiare il mio compleanno correndo almeno qualche chilometro. Sono passati ormai i tempi in cui agosto era periodo di preparazione alla maratona autunnale e dedicato al potenziamento e ai chilometri. E anche quello delle gare in vacanza. O al limite delle ferrate in montagna tra rifugi e vette incontaminate. Non che in questi giorni non ci si sia riuscito (fortunatamente abbiamo portato a termine la prima vera camminata in montagna con Tommaso e Leonardo intorno alle Tre Cime di Lavaredo), ma da ieri la schiena ha detto (nuovamente) stop. Così i 46 listo passando sdraiato sul letto, con il mac sulle gambe, riflettendo su quello che è stato, è e sarà. Di me. Del running. Di me e del running.
In realtà cosa sarà non lo posso sapere. Solo sperare. Questa mattina ho scritto al dott. Migliorini per riprovare una nuova cura per risolvere i problemi che ormai mi affliggono da più di tre anni e mezzo. Speravo che le infiltrazioni peridurali dello scorso autunno avessero potuto risolvere definitivamente la cosa, ma l’hanno (purtroppo) solo in parte migliorata. Quando poi mi ritrovo in questa situazione (orizzontale), ho l’assoluto bisogno di sperare in qualcosa di più definitivo. Non solo per tornare almeno a corricchiare senza problemi, ma anche per ritrovare una normalità più continua.
Quello che farò sarà ripartire da una nuova risonanza magnetica lombo-sacrale, per vedere se qualcosa nel frattempo è cambiato o evoluto. In meglio o in peggio. Anche perché gli ultimi fastidi sono nettamente differenti da quelli avuti in precedenza, anche se poi il risultato finale non è cambiato.
Ho riflettuto molto sulla mia situazione. Mi capita spesso di ricordare come tutto sia iniziato (tra l’altro tra una settimana sarà il dodicesimo anniversario di Corro Ergo Sum), evoluto e cambiato. Momenti che sono stati vissuti e che non torneranno più. Momenti che sembravano la normalità, ma che visti con gli occhi del domani sono diventati attimi iconici. Prendo come esempio l'immagine che i miei compagni di squadra hanno utilizzato per farmi oggi gli auguri sui social. Il mio primo (e ultimo) Salomon Running Milano. Una corsa che mi è rimasta nel cuore (tanto che alla fine ho iniziato anche a collaborare con gli organizzatori) e che è diventata un momento indimenticabile della mia carriera di runner. Non tanto per il risultato (anche se non era andata poi così male), ma per il divertimento, i segni che ha lasciato. Nonostante fosse anche stata una delle probabili cause che poi mi avevano portato a rinunciare alla maratona di quell’anno. Ma quelle fotografia finale ha riassunto pienamente la voglia di esserci (anche se non racconta del doppio crampo ai bicipiti femorali in volo e alla successiva comica caduta passato il traguardo).
Oggi mi ritrovo a cavallo di una nuova fase della mia vita podistica. Una fase più consapevole anche se meno attiva. Una fase adulta, dove riesco a vedere chiaramente tutti gli errori fatti in passato, dove riesco a comprendere meglio consigli e suggerimenti di coach e compagni, dove riesco ad avere un’immagine chiara di quello che è (ed è stato) il running per me in tutti questi anni. Una fase alla ricerca di stabilità, di costanza, di normalità, per portare avanti le mie idee, nate dall’esperienza e da tutto quello che mi hanno insegnato. Una fase in cui dare il mio contributo. Attivo. Alternativo. Introspettivo.
In un momento in cui probabilmente anche il running mondiale sta vivendo una nuova evoluzione. Quella dovuta all’emergenza Coronavirus, che ci regalerà un mondo podistico (e non solo) necessariamente diverso. Credo non assisteremo più a organizzazioni oceaniche a cui eravamo abituati anche solo un anno fa. Che la situazione si risolva o meno, tutto sarà diverso. Noi saremo diversi.
Mi vengono in mente le centinaia di concerti a cui ho assistito per trent’anni della mia vita. Ho vissuto sulla mia pelle i cambiamenti che li hanno trasformati da momenti epici per fan sfegatati a eventi globalizzati destinati a tutti. Mi ricordo le ore di coda in fila sotto al sole, nelle tende, a partire dal mattino. La sete, la voglia di ombra, lo sfinimento e l’ennesima corsa per arrivare per primi sotto al palco, schiacciati dalla ressa sempre più pressante alle spalle. Le battaglie con le bottiglie di plastica per ammazzare il tempo, le decine di ragazzi svenuti passati sopra la testa fino al palco, le maglie strappate per la foga e la calca. Momenti che non esisteranno più. Per nessuno. Poi sono arrivate le transenne, i prezzi diversi per settori, i biglietti acquistati on-line e i concerti a distanziamento sociale ancor prima che arrivasse il virus. Lo stesso accadrà al running.
Regole sempre più stringenti, controlli sempre maggiori, standardizzazione delle organizzazioni. Un modo diverso di interpretare la corsa. Diversa da quella che era negli anni ’80 dei grandi atleti italiani, diversa da quella che è stata negli anni ’90 con la nascita di un primo movimento amatoriale, diversa da quella che si è sviluppata globalmente nel nuovo millennio. Correre sarà sempre passione, libertà, spensieratezza, voglia di mettersi in gioco, di lottare, di vincere. Correre sarà sempre correre. Ma una corsa di ieri non sarà mai la corsa di domani.