10K del Parco Nord Milano
Alla fine sono contento. Non conta sempre e solo il tempo, anche se poi è sempre un po’ quello lo spartiacque tra una corsa riuscita e una no. Ma la corsa di oggi è l’esempio perfetto di come uno stesso risultato possa dare esiti diversi. Sensazioni diverse. Arrivare ed essere comunque soddisfatti anche se il meglio è ancora un po’ più in là. Partire ed accorgersi chilometro dopo chilometro che le gambe girano, che la fiducia cresce, che forse (forse) basta ancora solo crederci. Che le sensazioni negative degli ultimi allenamenti se ne sono andate col sudore, che nonostante tutto sei ancora lì davanti. E che non sei solo. Sono solo sensazioni che però frullano nella testa per tutta la gara, fino a quando il cronometro non si ferma ed arriva il momento di riprendere fiato.
Si ringraziano Podisti.net e Roberto Mandelli per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.
E’ stata la prima volta per me. La prima volta in cui mi sono affidato a qualcun altro. Mi piace fare il ritmo, mi piace pensare ad un risultato e provare a strapparlo con i denti, mi piace correre senza condizioni. Ma non è sempre possibile. Me ne sono accorto nelle ultime settimane, nelle ultime gare. Ci vuole anche la condizione, mentale e fisica. E la scelta giusta questa volta è stata partire in difesa. Ero anche quasi tentato di partire col freno a mano tirato. Aspettare un giro, la metà gara, e poi provare a spingere. Ma poi ho visto Franco poco più avanti ed ho cambiato programma.
A differenza dello scorso anno il caldo è stato decisamente inferiore. Ci siamo infilati nelle prime file poco prima del via, già sudati fradici dopo il riscaldamento. Un piccolo difetto della gara è la partenza stretta, lungo la strada secondaria che attraversa completamente il Parco Nord verso sud. Per il resto, un percorso veloce con piccole variazioni e qualche tratto di sterrato. Allo sparo non ho lasciato andare le gambe come sempre, non ho cercato di recuperare posizioni da subito, non mi sono lasciato prendere dalla frenesia. Ho solo aspettato qualche centinaio di metri e quando ho visto Franco poco più avanti ho allungato per raggiungerlo. Un po’ defilati, con i primi staccati e qualcuno che arranca già dal primo chilometro. Conoscere il percorso è un vantaggio. Ho cercato di ragionare a memoria di strada e non a chilometri. Ed ho voluto vedere fino a quando sarei riuscito a tenere il ritmo, racchiusi dal fresco della prima parte all’ombra degli alberi. Primi chilometri già veloci ed a ritmo, tra i 3’ 38” e i 3’ 42”. Per le mie gambe che fino al giorno prima faticavano nel lento un buon risveglio. Non ho mai provato né voluto allungare. Controllo e scia l’unica mia preoccupazione. E un monitoraggio sulle sensazioni. Ma le gambe sono state bene. Il pezzo un po’ più sofferto è stato forse il lungo rettilineo che ci ha portati al giro di boa prima dell’ultimo chilometro, l’unico tratto in cui ci si incrocia e si possono valutare i distacchi, avanti e dietro. E la propria posizione. Trovarsi con solo una ventina di avversari in testa è stato rassicurante. Anche perché sapevo, sapevamo, che presto qualcuno avrebbe mollato. La vera gara inizia col secondo giro.
E intanto qualche posizione l’abbiamo subito recuperata. Passo costante. Ritmo in leggero calo. Quando siamo sfilati sotto il gonfiabile dell’arrivo, il cronometro ha segnato 17’ 46”, un tempone vista la condizione. Ma il quinto chilometro era ancora un po’ più avanti di qualche centinaio di metri. Una piccola variazione di percorso per recuperare i metri mancanti alla metà-gara esatta e poi ci siamo ritrovati dove eravamo già passati nel primo giro. Da lì in poi è stata solo una rincorsa al chilometro e un patto continuo con la fatica che è cresciuta ad ogni passo. Ho smesso di guardare il cronometro dopo il sesto intermedio a 3’ 46”. Sempre in media. Le gambe stanche ma toniche. Sensazioni che aiutano la testa a non mollare. Certo, in questo periodo avrei voluto avere ritmi diversi. I miei obiettivi erano altri, ma bisogna anche saper fare i conti con la realtà. Ne parlerò poi con Fulvio. Ho semplicemente continuato a seguire Franco, affidandomi al suo passo e alle mie sensazioni. Sapevo anche che il momento-crisi si stava avvicinando, che nei 10 Km è solitamente (per me, ma anche nella stramaggioranza dei casi) tra il settimo-ottavo chilometro. E il settimo è stato infatti il peggior intermedio. Ma lo abbiamo scoperto solo a gara finita. Durante la corsa non lo avrei mai detto. Fatica e sudore che è colato dagli occhi. E’ anche vero che per tutta la gara gli intermedi non sono mai corrisposti a quelli segnalati dalla Fidal. Ogni volta il garmin è suonato almeno un centinaio di metri dopo. Risultato della corsa tra gli alberi e le numerose curve. Tutto normale. E la coincidenza che il settimo chilometro sia durato 3’ 58” può anche essere dovuto al fatto che la registrazione sia durata di più dei mille metri regolari. Situazione poi ristabilitasi perfettamente all’ultimo chilometro, dove la corrispondenza gps-intermedio è ritornata coincidente al metro. In mezzo, la parte più ondulata e con qualche curva di tutto il percorso. Denti stretti e fiato corto, ma sorpassare un avversario dopo l’altro dà fiducia alle gambe e aiuta a non mollare. Soprattutto quelli che ad inizio gara ci sfilavano accanto quasi irridendoci. Ma ride bene…
L’ultimo chilometro è stato una lunga volata iniziata già sul rettilineo con inversione ad u. Il passo aumentato poco alla volta. In testa solo il pensiero di arrivare al traguardo senza calare il ritmo, con la visualizzazione mentale sulla strada mancante. Una corsa nella corsa. Nessuno che volesse predominare, ma solo allungare un passo alla volta per arrivare più veloci. Le nostre posizioni si sono scambiate ad ogni curva fin sotto il gonfiabile dove siamo passati insieme, chiudendo gli ultimi mille in 3’ 30” tra gli applausi degli spettatori che hanno apprezzato il nostro arrivo di squadra. Poi un abbraccio di ringraziamento con ancora il fiato rotto dalla fatica. Questa volta il treno l’ho sfruttato io.
Il garmin si è fermato a 37’ 09” (18° assoluto e 5° di categoria), come un mese fa a Monza. Stesso tempo, gara diversa, sensazioni opposte. Mi sono stupito. Ad un certo punto ho anche pensato che avrei potuto fare il colpaccio, ma l’importante è essersi ritrovati. Mi sarebbe piaciuto avere il tracciato gps con gli intermedi da confrontare. Certo due gare completamente diverse. E non solo nel percorso. Se allora mi era sembrato di correre allo sbaraglio, come un'auto lanciata senza controllo, questa volta ho sempre avuto la sensazione di avere la situazione in mano. Seppur faticando. Sapere a che punto di fatica fossi, quanto poter spendere, quanto trattenere, quanto spingere. Un po’ come a Trieste. Avere il comando senza subire un ritmo troppo alto e inseguire un percorso alla cieca. Ma soprattutto per la prima volta in gara ho provato cosa voglia dire affidarsi a qualcun altro, pensare solo a rimanere a ritmo, a seguire il passo, a non dover tutti i costi spingere con la paura di andare troppo forte o troppo piano. Poi qualcosa comunque lo abbiamo lasciato sull'asfalto, ma la testa è stata libera di concentrarsi solo su passo e fatica. Lo avevamo fatto solo in allenamento. Ma adesso so anche quanto è importante a volte poterlo fare anche in gara.