24 Km alla Maratona di Valencia
Volete far soffrire un runner? Mettetelo alla partenza di una maratona sapendo che non potrà mai finirla. Un turbinio di emozioni, dall'eccitazione alla depressione, dalla voglia di correre alla rassegnazione di non poterlo fare, dalla consapevolezza dei propri mezzi ai sogni infranti, dalla frustrazione del momento ai progetti futuri. Mi aspettavo tutt'altro dalla Maratona di Valencia, ma so che i prossimi 42195 metri passeranno anche da qua.
Uno dei momenti peggiori è stato sicuramente quell'attimo infinito che precede il via della gara. Essere a pochi metri dal nastro di partenza, infreddolito dentro ad un sacco trasparente, in mezzo alle urla festanti di chi vuole arrivare il prima possibile a quel traguardo sognato per troppe settimane. Mi è mancata l'eccitazione del momento, quel conteggio spasmodico dei secondi che separano dal via, il continuo check-up di testa e gambe, la fibrillazione incontrollabile dei piedi, l'adrenalina che si carica per esplodere al primo passo. Mi ha quasi dato fastidio esserci. Non che non mi fosse mai successo prima. Mi è già capitato di trovarmi prima dell'arco di partenza e sapere di non essere in lotta con il tempo accompagnando qualcuno come pacer o provando un lungo d'allenamento per altri obiettivi. Ma c'è sempre stata una motivazione più forte alle spalle, quella che questa volta è mancata. Ma razionalmente tutto questo l'ho capito solo quando mi sono ritrovato lì. In quel momento. Quello che nei sogni è sempre stato tutt'altro.
Perchè poi alla fine i giorni precedenti alla gara li ho vissuti esattamente come se avessi dovuto correre veramente. Valencia poi è una città talmente bella, vivibile, piacevole che si viene risucchiati dall'atmosfera pre-maratona che trasuda tra le vie. Gli spagnoli hanno capito quello che ancora in Italia (purtroppo) siamo restii a voler fare. Movimentare una città per la maratona. Negozi, mezzi, la gente stessa, sa che la maratona è qualcosa di importante. E non solo per chi la corre. Far star bene chi è in città è l'obiettivo primario. Non esistono solo i maratoneti. Esiste anche un pubblico, esistono degli accompagnatori, esistono persone che hanno altre esigenze. E la macchina della maratona deve essere in grado di gestire e dare il massimo per tutti. Solo così la maratona può diventare un evento globale. E solo così tutti la possono vivere bene ognuno dal proprio punto di vista. I risultati li ho toccati con mano.
Amo trascorrere il giorno prima della gara al villaggio maratona. Soprattutto quando villaggio lo è veramente. Guardare e scoprire chi sono quelli che incrocio lungo i corridoi. Cercare qualche amico da salutare. Incontrare qualcuno per caso. Un avanti e indietro continuo che alle piscine di Valencia si è quasi trasformato in un lento pre-gara, tanta è stata la strada che ho percorso. Il tempo poi è stato amico. Sole e cielo azzurro per quattro giorni. Aria frizzante al mattino e alla sera, ma giornate di inizio estate attorno all'ora di pranzo. Pur amandola, non è proprio lo stesso della nebbia padana. Ma la corsa poi è cosa a sè stante.
Organizzazione impeccabile. Guardare le foto nel post-gara mi ha fatto crescere il rimpianto per non essere riuscito a correrla davvero. Ma esserci stato comunque lo vedo come un premio. Perchè alla fine l'ho toccata con mano. Ho visto quello che tutti gli altri hanno vissuto fino in fondo. Ho capito cosa regalano questi quarantadue chilometri, sia a chi corre, sia a chi sta lungo la strada ad applaudire. E che certo non è più riposante. Di indigestione di pubblico non ne ho fatta. Mi sono fermato come da programmi al ventiquattresimo chilometro, ripassando vicino alla zona arrivi/partenze. A parte i primi chilometri, quando il percorso è sceso verso il mare, è stato il sole caldo ad essere maggiormente presente lungo la strada. Tanto che mi sono quasi allarmato per il caldo che sembrava esserci. Allarme subito rientrato, visto che la maggior parte del percorso essendo in centro città rimane coperto dall'ombra dei palazzi e dei viali alberati. Pubblico a sprazzi per i primi quindici chilometri, ma ugualmente rumoroso. Ma arrivando in zona centro, il lungo serpentone di amici e parenti ci ha accompagnato ininterrottamente fin quasi alla mezza maratona. Tamburi, timpani, bonghi, band, pupazzi, speaker... tutto quello che può fare da contorno ad una corsa è stato disseminato tra le vie e ordinatamente sparpagliato per non lasciare mai un momento di pace e solitudine a chi stava correndo ed aizzare il pubblico ad un continuo applauso. Motivo per il quale all'unico appuntamento prefissato al sedicesimo chilometro non sono nemmeno riuscire a ritorvare Chiara che mi stava aspettando.
In effetti la solitudine del maratoneta non si è fatta proprio sentire. Probabilmente anche perchè la mia concentrazione non è stata la stessa come se fossi stato in gara veramente. Ho corso totalmente a sensazione, assecondando le ondate di ritmo date da chi mi è stato attorno e dalla spinta del pubblico. In certi momenti è stato quasi impossibile frenarsi. Non ho avuto particolari problemi, non ho sentito fastidi e fino al traguardo volante della mezza ho fatto quel che pensavo. Volevo stare sotto l'ora e trenta senza particolari sforzi e così è stato. I restanti tre chilometri li ho usati come defaticamento, anche se quando sono arrivato alle piscine le gambe cominciavano ad essere stanche. Ma dopo più di due mesi senza correre una mezza maratona ne avevano tutto il diritto.
Quello che è stato dopo il mio ritiro lo posso solo immaginare, un po' da quello che ho visto, un po' dai racconti di chi ci è passato. Io ho aspettato l'arrivo dei primi. Un arrivo spettacolare. Non posso immaginare cosa voglia dire volare sull'acqua delle piscine sospinti dalla forza del pubblico. E la curiosità di saperlo è davvero tanta. Ho camminato a ritroso lungo il percorso per raggiungere Chiara al trentanovesimo chilometro in attesa del passaggio di papù Tullio. E per tre chilometri non ho trovato un metro di percorso che fosse libero. Applausi, foto, video, grida. Gli immancabili bambini a chiedere il cinque e le facce tirate e stremate di chi ha dato tutto per arrivare fino a lì. La spinta rock dello speaker prima degli ultimi mille metri sulle note degli AC/DC mi ha fatto venire i brividi pur camminando sommesso in disparte. Sono sicuto che se a Milano mi fossi trovato in quella stessa situazione nessun crampo mi avrebbe potuto fermare. La testa e il corpo si sarebbero uniti in un ultimo slancio verso l'arrivo prima di cedere a qualsiasi altro ostacolo. E così dovrebbe sempre essere. Non ho espereinza di grandi maratone. Ho sempre amato quelle più intime, dove si corre soli per la maggior parte del tempo, dove si lotta con sè stessi prima che con gli altri, dove non ci sono momenti di distrazione o tentazioni. Ma devo dire che provare ad essere sospinto per quarantadue chilometri e non avere la minima possibilità di cedere alla fatica è una curiosità che prima o poi dovrò soddisfare. Complimeti a chi però il traguardo l'ha tagliato davvero. A Tullio (arrivato alla fine nonostante le avversità pre-maratona e le perplessità pre-gara), a Stefano (come da mio pronostico è andato ben oltre le sue previsioni con un tempo stratosferico), a Gianluca, a Massimo, ad Andrea, a Pier Luigi, a Marco, a Ylenia...