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Tempo di recupero con Nike Joyride Run Flyknit

Correre e poi recuperare. È quello che più ho imparato (sulla mia pelle) in tutti questi anni di corsa. Non serve solo spingere per migliorare. Non basta provare sempre ad andare più forte. Bisogna anche trovare il giusto equilibrio con il riposo e con i propri tempi di recupero. Per questo è nata Nike Joyride Run Flyknit. Per rigenerarsi correndo.

È il recupero il concetto alla base delle Nike Joyride. Un concetto importante (qui la diretta Facebook del Recovery Panel organizzato da Runner’s World in collaborazione con Nike in occasione del lancio mondiale di Joyride), ma difficile da far capire alla maggior parte dei runner (amatoriali) e che si scopre forse solo facendo a pugni con l’esperienza. La voglia di migliorarsi, la foga per provare sempre a fare meglio, quell’inarrestabile voglia di fatica hanno sempre la meglio su quei momenti che invece andrebbero dedicati (una o più volte alla settimana) al recupero. Recupero che non vuol dire solo riposare, ma anche sapersi dosare negli allenamenti, nei tempi, nei modi. Perché in realtà non è nelle sedute di qualità che diventiamo più forti, ma nei momenti di pausa, in cui i muscoli possono assorbire e interiorizzare tutto il lavoro e lo sforzo che abbiamo fatto.

L’idea di base su cui il Nike Sport Research Lab ha impostato la propria ricerca è quella che molti runner (anche io) già utilizzano durante i propri allenamenti di defaticamento, correndo su sterrato invece che su asfalto. Un terreno più morbido, meno regolare, che permette di assorbire parte dell’impatto del piede col suolo affaticando meno le gambe e facendo lavorare i muscoli in maniera differente. Nulla di nuovo come concezione. Se non il fatto che con Nike Joyride tutto questo è stato trasferito all’interno della scarpa stessa. 

Premessa

Preciso che questa non vuole essere una mera copiatura della scheda tecnica di ogni singolo modello come se ne trovano in molti altri siti, né tantomeno un documento esplicativo di tutte le loro caratteristiche, ma un articolo in cui raccontare (come sempre) la mia personale esperienza e il mio pensiero e analizzare le principali sensazioni, criticità e novità delle scarpe che utilizzo quotidianamente durante tutti i miei allenamenti.

Nike Joyride Run Flyknit

Che Joyride sia una concezione di scarpa del tutto innovativa (o perlomeno diversa) è facile da intuire anche solo guardandola. L’occhio cade subito sulla zona tallonare, dove invece della solita schiuma, aria o mescola si intravedono migliaia di palline rosse e blu, libere di muoversi. Questa è proprio l’innovazione che sta alla base di Nike Joyride. Migliaia (undicimila per la precisione) di miscrosfere in TPE (un copolimero di plastica e gomma) distribuite lungo tutta la pianta del piede a densità differenti, che funzionano da ammonizzazione personalizzata, spostandosi in base al tipo di appoggio, peso, corsa, velocità di chi le indossa (spostamento multidimensionale). Un po’ come le palline colorate che vengono utilizzate come ammortizzatori anticaduta nelle vasche-gioco per i bambini.


Le nuove Nike Joyride Run Flyknit. Si notano facilmente nel tallone le microsfere colorate che garantiscono l’ammortizzazione personalizzata.

Niente intersuola (classica) quindi per Nike Joyride, ma una gabbia in schiuma (la stessa di React) in cui sono affogate quattro capsule riempite di microsfere. Ogni capsula ha una densità maggiore o minore di microsfere in base al suo posizionamento lungo la pianta del piede. Più densità sul tallone (circa il 50% di tutta la scarpa) per assorbire meglio l’impatto, minore densità sul mesopiede per facilitare una transazione più fluida, ancora minore sull’avampiede per avere un maggiore ritorno di energia.

Il resto della scarpa ha un concetto più tradizionale, anche se non è presente la classica linguetta, ma un calzino elastico interno che fascia e si adatta al piede in tutta la sua interezza, grazie alla tomaia in Flyknit. Il drop pensato proprio nell’ottica del recupero e della rigenerazione (soprattutto per i tendini) è di 10 mm. 

La sensazione appena indossate è strana, con il piede che sembra libero di muoversi in ogni direzione, come indossando un guanto (proprio per questo vi consiglio di utilizzare almeno mezzo numero in più rispetto al vostro solito). Camminando è subito evidente l’ammortizzazione personalizzata, soprattutto sul tallone. Mentre quando si inizia correre, la morbidezza in appoggio sembra diminuire, ma solo perché l’impatto col suolo si sposta in avanti e avviene più sul mesopiede (zona meno densa di microsfere) rispetto alla camminata. 

A chi è consigliata 

La Nike Joyride Run Flyknit chiaramente non è una scarpa performante. Il suo scopo è quello di ridurre gli impatti con il suolo (il 14% in meno rispetto ad altri modelli Nike) e aiutare nel recupero post-gara (anche solo per camminare) o dopo gli allenamenti più intensi. Non è fatta per lunghe distanze, non è fatta per correre veloce, non è fatta per correre in pista, non è fatta per iniziare a correre (anzi, ogni difetto di appoggio viene ancora più evidenziato dalla mancanza di supporto per il piede). Una scarpa adatta a tutti, a patto che la si usi nel modo corretto. Da affiancare ad (almeno) un modello più tradizionale.