Correre è la mia vita
Leggere Correre è la mia vita, l'autobiografia di Giorgio Calcaterra, è stato un po' come affrontare un'ultramaratona. Correre al suo fianco. Non perchè fosse pesante o difficile, ma perchè mi sono dovuto dosare, sera dopo sera, prima di dormire, per arrivare in fondo godendomi il (suo) viaggio. Resistendo alla tentazione di bruciare le tappe. Pensando, sognando, quello che tutti vorrebbero essere. Dei Campioni.
Quello che ho letto, il modo in cui è scritto, raccontato, è semplicemente Giorgio. Per quel poco che lo conosco, l'ho perfettamente rivisto in tutte le sue sfaccettature. Non si nasconde tra le pagine del suo libro, come non ama farlo nella vita. Racconta quello che ha fatto, quello che è, a volte anche in maniera fin troppo semplice. Senza bisogno di romanzare, senza nascondersi dietro alla notorietà, come se si trovasse al bar con gli amici e ricordasse le sue avventure. E' inevitabile che tutti i suoi quarantaquattro anni (trentaquattro se li contiamo dalla prima stracittadina di Roma) parlino di corsa. E' davvero la sua vita. «E' una passione recondita, un bisogno innato che mi scorre nelle vene, il gesto che più di ogni altro mi avvicina alla sensazione di libertà». E così come sbaglia, a volte, ad affrontare una gara, a sottovalutare un avversario, a pretendere troppo da sé stesso, ugualmente fa nella vita di tutti i giorni, in amore, nel lavoro, con la famiglia. Giorgio è un campione umano, una persona semplice che fa cose straordinarie. Un po' il Clark Kent del running. Che si infila le sue Saucony e vola.
Tutto è iniziato per caso. «Sono lì per correre e basta, senza regole, solo. Devo semplicemente lasciar andare le gambe fino a raggiungere mio padre che mi aspetta al traguardo». Era la sua prima-vera-gara e il suo modo di interpretare non è mai cambiato. Naïf, come ama autodefinirsi. Facendo quello che gli piace. Nel modo che gli piace. E tutte le volte che gli piace. Naturalmente. «Io sono così, una persona semplice che ha scelto la passione e non il professionismo. Voglio continuare a migliorare me stesso, senza limitarmi nel frequentare gli amici e partecipare a tante gare, perchè solo questo modo di vivere la mia grande passione mi rende davvero felice». Se così non fosse stato non sarebbe diventato tre volte Campione del Mondo di Ultramaratona, non avrebbe corso sedici maratone sotto le 2 ore e 20 minuti in un solo anno, non avrebbe vinto undici volte consecutivamente la Cento Chiometri del Passatore, non sarebbe Campione Mondiale della Wings for Life World Run con il record di distanza (88,44 Km, racconto presente solo nella seconda edizione del libro). Avrebbe potuto fare di più?
Sicuramente non scegliendo delle scorciatoie. «Il peso enorme che sento sul cuore è provocato dalla rabbia e dalla delusione per una parte del genere umano, quella che sceglie di truffare pur di arrivare a tutti i corsti davanti agli altri, nella vita come nello sport. Un pensiero che mi devasta. I valori dello sport, che proprio mio padre mi ha sempre trasmesso, mi fanno interiorizzare quella vicenda in modo personale, intimo. Provo un dolore che è qualcosa di più di una semplice delusione. Mi sento tradito dalla maratona stessa». Sono i pensieri dopo la sentenza di squalifica per doping di Roberto Barbi. Gli stessi avuti per tutti quelli che non rispettano la corsa, lo sport e la vita in generale cercando strade alternative. Una lunga battaglia portata avanti da Calcaterra per tutta la sua vita, mettendoci la faccia e la voce, come contro Alberico Di Cecco, squalificato per doping nel 2008, ma convocato ai Mondiali di Cento chilometri di Doha nel 2014. Una lotta che lo consuma più dell'ultramaratona stessa. Ma contro la quale sa che non potrà mai arrendersi.
Le due copertine di Correre è la mia vita (1) e alcuni momenti con Giorgio Calcaterra: durante la registrazione dei clip per la Wings for Life World Run 2015 con Runner's World (1), alla conferenza stampa della Wings for Life World Run 2016 (2) e di corsa alla Wings for Life World Run 2015 (3).
Perchè Giorgio è così. Capace di esaltarsi per un risultato inaspettato, come se nemmeno lui sapesse di essere in grado di raggiungerlo, ma allo stesso tempo fragile, indifeso, di fronte agli eventi che non riesce a controllare. Timido e spavaldo. E con la sola certezza che la cosa che più ama fare al mondo sia correre. Re, Giorgio, lo è diventato dopo le sue imprese più famose e le esaltanti rimonte nel mondo dell'ultramaratona. Tutti lo conoscono per la Cento Chilometri del Passatore, che anche grazie a lui ed alle sue avventure è diventata una delle gare più importanti e partecipate d'Italia. Ma pochi sanno realmente chi sia stato prima. Come è nato un campione. Da dove arriva.
Ma più di tutto per me è stato esaltante ri-leggere (e riviviere) le imprese in cui l'ho seguito più da vicino negli utlimi anni. Dove l'ho visto correre, soffrire e poi sempre sorridere a braccia alzate sotto il traguardo. Ho consumato le pagine per sapere dove sarebbe potuto arrivare, come se la storia potesse cambiare leggendola. La sua vera forza sta nel non accontantarsi mai. Essere sempre al limite. Divertendosi. Facendo quello che gli piace. Quello per cui è nato. E sapendo che un'ultramaratona non è mai finita. «Se sei in grado di superare testesso vinci sempre, anche arrivando ultimo».