Maratona d'Italia (Carpi)
La prima cosa da dire è va bene così. L'avrei voluto è scontato. Tutti vorrebbero sempre fare meglio. Invece bisogna imparare ad accontentarsi, a sorridere dei propri risultati e goderseli. Dopo settimane, mesi di fatica, assaporare fino in fondo il risultato spremuto in ogni goccia di sudore lasciata sull'asfalto. Ieri mi sono finalmente ricordato cosa vuol dire correre con la testa. Se per le altre distanze a volte è sufficiente l'allenamento, per la maratona è fondamentale correre con la testa. Allenarla. Comandarla. Assecondarla. Saper resistere ad ogni cedimento, sapersi condurre come un cavaliere fa con il proprio esercito. Sicuri, fieri, mai domi. E' l'unico modo per arrivare al traguardo, fermarsi e dire ce l'abbiamo fatta.
Maratona d'Italia 2013, dal Mugello a Carpi (MO).
Di quello che è stata la vigilia l'ho già detto. Ho scelto la Maratona d'Italia perchè volevo una gara più intima, meno caotica. Più semplice? Anche. Ma una maratona non può essere semplice. Provare a correre una quarantadue chilometri meno-evento e più-corsa. La maratona di Dorando Pietri, forse il primo-vero eroe della maratona. E appena arrivati in città è stato lui ad accoglierci, ricordato su manifesti e monumenti. Le previsioni meteo in dieci giorni sono passate da freddo-sole, a nuvolo, a pioggia, ad umido non risparmiando nessuna possibilità. Ma sulla linea di partenza, a Maranello davanti al museo Ferrari, la giornata è stata invece ideale, condizioni perfette: cielo limpido e azzurro, con qualche leggera nuvola di foschia, sole e 10°C. Tutti hanno freddo. C'è chi si copre come se stessimo a Reggio Emilia. Io avevo già deciso la mia divisa tre mesi fa: svolazzini e canotta. D'altronde non ho mai visto un kenyano correre con la divisa pesante. E con le nuove Jazz 16 II giallo-blue navy il completo è perfetto. Ci vuole anche un po' di stile ogni tanto. Io, Chiara, Franco e Simone. L'organizzazione della corsa non è perfetta, lo si capisce subito. Diciamo che spazio per migliorare ce n'è. La suddivisione in griglie, senza controlli non funziona. Anzi, non c'è mai stata. Chi prima arriva meglio alloggia. Nella calca ci disperdiamo: io e Chiara rimaniamo insieme, Simone poco più spostato verso il centro e Franco qualche decina di metri più dietro. Sento particolarmente l'attesa. I minuti prima del via sembrano non passare mai. Ripasso a memoria il percorso, cercando di ricordare i punti critici, le raccomandazioni di Fulvio, il dislivello. E faccio lo stesso con Chiara. Lei che non dovrebbe essere nemmeno su quella linea dopo l'influenza di dieci giorni fa. Allo sparo nessun rombo di motori a Maranello, solo il solito tip-tap di scarpe e l'immancabile paaartiiitiii dello speaker. Neanche cinque metri e di fianco a me una caduta. Iniziamo bene. La strada da Maranello a Carpi è praticamente tutta dritta per cui sono stati studiati punti appositi di curve e controcurve per l'omologazione dalla gara. Si parte in leggera salita passando per il centro del paese, colmo di pubblico per quasi tutto il primo chilometro. Per il resto solo deserto. Prima cosa, partire piano. Mentalmente ho già diviso la corsa in tre parti, corrispondenti ai tre arrivi sulla distanza: prima parte fino alla mezza a Modena, seconda parte fino a Soliera con l'arrivo della 33 Km, terza ed ultima parte a Carpi. Chiaramente in partenza ci sono schieramenti di tutte e tre le gare ed è impossibile riconoscere chi corra per cosa senza guardare il colore del pettorale. Cerco di trovare il mio passo (4' 05") non facendo caso a chi mi sta intorno. Il primo chilometro non fa testo con confusione iniziale e salita, ma il secondo a 3' 48" è decisamente troppo. La discesa che chiunque reputerebbe una fedele alleata in realtà non è poi sempre così positiva. L'adrenalina, la freschezza, la voglia fanno già girare da sole le gambe a mille e il dislivello le aiuta ancora di più. Rallentarsi diventa quasi uno sforzo. Si vede che la settimana di scarico ha fatto il suo dovere. Pur fuoriuscendo dal paese non rimaniamo quasi mai soli per tutta la rima parte. Le case costeggiano tutto il lungo rettilineo che va verso Formigine. Qualche piccol sparuto gruppetto di tanto in tanto mi supera, ma sono quasi tutti con pettorale giallo o azzurro. Mentre i primi che sono partiti con troppo slancio cominciano già a tirare i remi in barca. L'aria è fresca e il sole, alla nostra destra, sale piano piano. Di tanto in tanto il pulmino con i fotografi ci supera o si affianca per immortalare i momenti di gara. Le fila si allungano e sul lungo rettilineo i primi sono già molto lontani. La discesa non è sempre continua. Si alternano tratti pendenti e falsipiani. I chilometri però scorrono veloci. Sembra incredibile ma preferirei ci fosse solo piano per non dover controllare ad ogni chilometro il passo. La prima parte è più che altro una fase di stallo, quasi in attesa che cominci davvero la fatica. Solo controllo e nient'altro. Ma poco prima del 10 Km Franco mi raggiunge dalle retrovie. Adesso siamo al completo. Simone è già avanti col suo ritmo a 3' 50", io e Franco affiancati come in allenamento sulla Martesana, Chiara che controlla la sua corsa poco più dietro. Per la prima volta ho voluto provare a portare con me in gara la spugna data col pacco gara per gli spugnaggi. L'ho sempre ritenuta scomoda da avere con sè e invece mi sono sempre sbagliato. Infilata nell'elastico posteriore dei pantaloncini è quasi come non averla. E nonostante non faccia caldo una rinfrescata ad ogni intermezzo tra i ristori non me la sono fatta mai mancare: meglio giocare d'anticipo su fatica e testa. Soprattutto quando incrociamo bambini sentiamo gridare un forza gialli, il nostro incitamento personale. All'undicesimo chilometro andiamo in contro ai genitori di Chiara che ci stanno aspettando. Il pubblico non è molto, come è facilmente intuibile dall'evoluzione del percorso. I grossi gruppi saranno nel centro di Modena, Soliera e all'arrivo. Franco tende sempre ad allungare un po' il passo e ondeggiamo tra i 4' 02" e i 4' 08" ma con media perfetta. La testa comincia a fare qualche brutto scherzo. Il flessore destro sembra già affaticato, ma so che non è possibile. La discesa è finita e probabilmente non avere più la spinta naturale della strada si sente anche impercettibilmente. Entriamo nella periferia di Modena. Le distanza tra chi ci precede e chi ci segue sono ormai nell'intorno delle decine di metri. Chi sta correndo la mezza è ormai nella fase critica. Di critico per noi invece ancora nulla, nemmeno il primo cavalcavia e le salite del centro città. Il pubblico è tutto assiepato nella zona pedonale, mentre noi la sfioriamo e poi veniamo deviati verso stradine secondarie senza capire il perchè. Ma lo capiamo dopo qualche centinaio di metri quando, passando in mezzo ad un cantiere di ristrutturazione, sbuchiamo nel cortile centrale dell'Accademia Militare di Modena. La prima botta di adrenalina è servita. Due fila di cadetti, ordinati e in divisa ci applaudono al passaggio tra ciottolato e portici. Tutti sorridenti. Tutti composti. Ricambio sorridente come posso. Il passo prende un'accelerata improvvisa. Quando fuoriusciamo ancora un centinaio di metri e ci accoglie il passaggio nel centro città. Duro per la pavimentazione completamente irregolare, caloroso per l'enorme presenza di gente che ci applaude e guarda i gialli passare di corsa. E siccome ad ogni azione corrisponde una reazione, dopo la fase adrenalinica arriva la fase di stanca. Nella concitazione del momento non mi accorgo del ristoro del ventesimo chilometro in tempo per bere il primo gel prima dell'acqua. Arraffo una bottiglietta (tutti gli organizzatori di maratone dovrebbero imparare che le bottigliette sono fondamentali ai ristori e non i bicchieri di carta, nda) e con le mani occupate provo a sganciare la spilla del gel che lo tiene legato ai pantaloncini per i seguenti cento metri. Fortunatamente c'è Franco a farmi da assitenza e posso abbandonare la bottiglia bevendo poi dalla sua. Ormai in periferia, passiamo sotto il traguardo della prima parte di gara con un minuto di vantaggio sulla media. Proiezione 2h 50'. Incominciamo a sognare. In realtà la situazione è meno rosea di quel che sembra. Essere al giro di boa e pensare di dover fare altrettanto sforzo non è cosa così facile. In più, poco prima di una leggera salita la spilla che tiene uno dei quattro gel per la seconda parte di gara si rompe facendomelo perdere per strada. Di bene in meglio. Salita, discesa, piano e di nuovo salitella. Qua si comincia a correre seriamente. Il ritmo rimane invariato con un po' di sudore. Passiamo un piccolo ponticello ornato con una ventina di bandiere e un grosso manifesto di Pavarotti che ci incita a tutto volume con la sua voce possente. E' l'inizio di una serie di passaggi in piccoli assemblamenti che ci accompagnano a ritmo di liscio e mazurca per qualche chilometro. Come porti i capelli bella bionda... La strada è più tortuosa, piena di sali-scendi e controcurve. Troviamo anche il secondo e terzo cavalcavia segnalati dal percorso ufficiale, ma sono meno traumatici del previsto. Qui comincia la fatica. Quella di testa. Quella che ti puoi allenare quanto vuoi, ma se non ne hai molli. Le gambe iniziano a non tenere più il ritmo regolare da sole e la strada tra le campagne modenesi non aiuta a trovare quella spinta in più. Poca gente lungo il percorso e solo i cartelli a fare da miraggio tra un chilometro e l'altro. Fortunatamente ho preferito usare gli intermedi del gps e non i cartelli dell'organizzazione che in molti punti hanno falsato le distanze anche di più di dieci secondi. Che per il ritmo regolare di un maratoneta non sono poca cosa. Mi concentro sulla postura anche perchè la spalla sinistra comincia a farmi male. Evito di guardare in avanti e seguo solamente Franco che sta qualche metro più avanti e l'asfalto. Dal 27 Km inizio il mio count-down personale, -15 Km. Quante volte li ho corsi in allenamento? Basta ad arrivare al giro di boa di Cassano e ritornare a casa. E così corro. Rimuginando arriva anche l'ultimo cavalcavia, quello che molti ritngono il più pericoloso. Svolta a destra e iniziamo la salita. In realtà non lo soffro particolarmente. Anzi, recuperiamo una posizione davanti a noi. Passaggio al 30 Km praticamente perfetto a 2h 02". Abbiamo perso il minuto di vantaggio, ma, come si sa, la maratona inizia qui. Lungo la discesa faccio riposare braccia e gambe e riprendo, apparentemente, un buon ritmo che non dura però molto. Siamo a Soliera. Manca il passaggio sotto il secondo gonfiabile e poi lo sprint finale. Pensavo di trovare più pubblico, ma il paese non è molto grande. L'avvicinamento al castello è bello da vedere in lontananza con le due ali di tifosi assiepati lungo le transenne. Ma dopo il bagno di folla c'è la desolazione della campagna. Tanta campagna. Dritta campagna. Il count-down si fa più serrato e il passaggio dalle decine alle unità è un sollievo per la testa. Ormai non si può più mollare. Mancano due soli lunghi rettilinei prima di entrare a Carpi. Mi ricordo bene il tracciato, ma la strada è un'altra cosa. Il sole è diventato più caldo e alto ma non si riesce nemmeno a sudare troppo. Anche i bagni rinfrescanti ogni due chilometri e mezzo tra spugnaggi e bottigliette aiutano in questo. L'aria fresca su acqua fresca è rigenerante, anche se solo per qualche centinaio di metri. Davanti finalmente vediamo solo quelli che sono davvero avversari diretti. Pensavo saremmo stati più soli verso l'arrivo invece la fila è lunga e abbastanza regolare. Tutti uno dietro l'altro, stesso passo, stesso obiettivo. Franco mi prende qualche metro mentre superiamo i primi che cominciano a cedere. Sfilando alcuni persone del pubblico che stanno contando i passaggi scopriamo di essere in quarantacìnq e quarantasés posizione. Non male, dato che speravo di riuscire ad entrare almeno tra i primi cento. La fatica però aumenta. Il passaggio a Limidi mi segna le gambe. Anche i bambini che seguono la corsa sfilando tra le vie in bicicletta cominciano a darmi fastidio. Due svolte consecuitve a sinistra e siamo sulla strada per Carpi. Non guardo più l'orologio da un po', lasciando che siano le gambe a decidere dove e come andare. Franco prende una trentina di secondi di vantaggio. Siamo in quattro. Lui davanti, io ultimo a chiudere il gruppetto. Il count-down dice -4 Km. Il mio ultimo riferimento rimane il sottopassaggio del quarantesimo chilometro. Quello che temo di più. Inzia la zona industriale seguita dalle prima basse case. Le strade si riempiono piano piano tra chi segue la corsa e chi ci si ri trova suo malgrado. Non so se l'espressione disegnata sul mio volto sia un sorriso, ma mi sento completamente rigido. Le ginocchia non si alzano. Le gambe sono dure. La spalla sinistra bloccata. L'ennesima curva a sinistra ci fa ritrovare il 39 Km a sorpresa. Meno tre. Dietro pochi passi. Supero due o tre avversari che rallentano fino a quando intravedo il sottopasso, Ma a sorpresa la strada devia destra invece che proseguire dritta. Rimango disorientato. Una serie di birilli separano la carreggiata e di fronte a me vedo le moto che scortano la prima donna che, avanti di un minuto, sta gia ritornando in senso contrario. La strada al giro di boa non sarà più lunga di duecento metri, ma sembra non finire mai. Pessima scelta dell'organizzazione che se aveva bisogno di curve le poteva inserire nella prima parte di tracciato e non a due chilometri dall'arrivo. L'inversione intorno al birillo è poi deleteria. Praticamente ci si deve fermare e poi ripartire. Gambe spaccate. Sarebbe bastato utilizzare una rotonda per fare la tessa cosa. Pessima scelta. Fortunatamente tra giro di boa e inizio del sottopassaggio c'è l'ultimo ristoro. Aria per i polmoni e acqua per testa e corpo. Sfrutto la discesa, ma la risalita, seppur breve, diventa un dramma. Alla mente mi torna il 37 Km della Maratona di Reggio Emilia. Ultime curve prima dell'inizio del centro storico. Dietro a me qualche maratoneta di casa si prende gli incitamente di amici e parenti. Ho paura che riesca a recuperare lo svantaggio con la spinta. All'ultimo chilometro guardo di nuovo il cronometro: 2h 49' e spiccioli. Il sogno sarebbe stato tagliare il traguardo in quel momento, ma i sogni a volte non si avverano. Quattro minuti per il traguardo. Anche il personale è impossbile, per cui non mi resta solo che resistere fino alla fine. Inizia il pavè. E gli ultimi cinquecento metri di rettilineo fino al gonfibile di Piazza dei Martiri. Franco è più vicino ma irraggiungibile. La gente applaude, sento le urla di incitamento come ovattate, immerso completamente nella trance agonistica del momento. Corro con lo sguardo fisso al cronometro che inesorabilmente fa scorrere i secondi verso quei 54' che non voglio vedere. Allungo con un finale a 3' 50" nonostante le gambe rigide e vedo Franco che mi aspetta al di là del traguardo. Mi ritrovo tra le sue braccia prima ancora di capire. E la tensione si stempera. L'adrenalina lascia il posto alla commozione. 2h 53' 50", 40° assoluto. Cerco dove sedermi mentre mi infilano la medaglia di partecipazione perchè la gambe cominciano un po' a tremare, non so se per la tensione, la stanchezza o l'emozione. E arrivano Franco (1° di categoria), Simone (2h 42' e 1° di categoria) e Chiara. Speravo di doverla aspettare al traguardo e invece la sua maratona è finita al trentesimo chilometro. L'ennesima influenza prima della gara ha tradito le aspettative. E Fulvio, anche se lei non lo sapeva, l'aveva predetto. Ma basta imparare dalle sconfitte per farsi trovare pronti e più forti domani. Dopotutto è questo che ti insegna la maratona: si vince con la testa. A partire dal momento in cui hai tagliato l'ennesimo traguardo.
La mia Maratona d'Italia in numeri:
Pettorale: 586
Posizione: 40° (800 iscritti ca.)
Tempo di gara finale: 2h 53' 52"
Peso: 70 Kg