16° Maratona di Reggio Emilia
Doveva essere la mia corsa ed alla fine lo è stata. Non è stato semplice sin dall’inizio. Problemi alla schiena. Problemi al ginocchio. Allenamenti e soprattutto lunghi saltati. Ma è stato un anno difficile e tutte le forze e le speranze le avevo rinchiuse in questo piccolo-grande sogno. Un piccolo appiglio per andare avanti piano piano, ma tante volte ho pensato di non riuscire a farcela da solo. Alla fine la corsa è una delle poche cose in cui puoi contare solo su te stesso, dove i fattori esterni contano, ma molte volte non sono fondamentali, possono influire ma non in modo decisivo. Oltretutto è passato un anno dall’ultima Maratona di Firenze. Un anno in cui ho pensato solo a migliorare la velocità, poco alla volta, senza fretta. Ma un anno anche fatto di sacrifici, di risultati, di tante corse, alcune nuove alcune meno. Un anno di nuovi amici, di nuovi compagni, di nuove sfide. E tante persone che mi sono state vicino, chi per curiosità, chi per sfinimento, chi per passione, chi per dovere. Ed oggi, le ho ritrovate tutte lungo quei quarantadue chilometri che mi hanno diviso dall’inizio alla fine di questa Maratona di Reggio Emilia.
Siamo partiti sabato, nel pomeriggio, quando Iacopo e Silvia sono passati a prendermi. Nuova maratona per me, nuovi compagni. Il viaggio è decisamente stato veloce e fin troppo agevole. Ma l’ottima organizzazione di casa Giardini ci ha anche fatto alloggiare in ottima posizione, proprio in centro, a due passi dalla partenza e dal centro maratona. Giro tra i piccoli stand del palazzetto per il ritiro del pettorale, un saluto allo stand di podisti.net organizzatori di un’ulteriore gara nella gara tra gli utenti del sito, ascolto veloce del briefing sul percorso e poi un’allegra serata in compagnia, raggiunti a cena anche da Riccardo e Laura. Iacopo è l’unico poco agitato, per lui la maratona è solo un allenamento per arrivare alla cento chilometri di questa primavera. Ma per me e Riccardo è una nuova sfida. Io ho in ballo un nuovo personale e il muro delle tre ore da abbattere. Vorrebbe dire migliorarsi di più di undici minuti, un’impresa. Ma se tutto andasse per il verso giusto, senza contrattempi, potrebbe anche essere una cosa fattibile. D’altro canto la tabella l’ho seguita scrupolosamente e in tutte le altre occasioni i risultati si sono poi sempre visti, per cui… Peccato che nell’ultima settimana non abbia potuto correre per un’infiammazione al ginocchio. Anche camminando per le vie di Reggio, la sensazione non è mai stata ottima, ma si sa, la testa a volte è più convincente del corpo stesso. Resta solo da verificare in gara. Ma come se non bastasse, nel viaggio da Milano l’occhio destro ha cominciato a darmi fastidio ed a gonfiarsi, forse a causa allergia. I segnali non sono stati dei più favorevoli.
Quando la sveglia è suonata poco prima delle sette mi son subito guardato allo specchio e la situazione occhio non mi è sembrata molto migliorata, ma non c’era comunque nulla da fare. Il ginocchio invece sembrava a posto, fino a quando con un movimento sbagliato infilandomi i pantaloni della tuta, una fitta non mi ha attraversato tutta la gamba. Il sorriso un po’ mi si è spento in viso. All’appuntamento delle otto al palazzetto con Riccardo arriviamo puntuali. Fuori ho anche incrociato Alberto che non vedevo da più di un mese. Qualche acciacco anche per lui. Consegnamo le borse, ci svestiamo e poi ci infiliamo nelle griglie di partenza, io un po’ più avanti, Iacopo e Riccardo leggermente più indietro. Lo speaker annuncia una partecipazione record di più di tremila atleti. Nei minuti che precedono il via cerco i pacers delle 3h a cui voglio accodarmi. Dal briefing del sabato ho capito che il percorso non è per nulla semplice, pieno di sali-scendi, continui cambi di ritmo e scostante. So di essere abbastanza regolare nel mio passo, ma preferisco non pensare al tempo e lasciarmi guidare da chi ne sa sicuramente più di me. E poi, fino ad ora, l’appoggio ai pacersè sempre stata un’ottima scelta.
Il cielo sembra dalla nostra. Poco prima della partenza si apre e lascia intravedere l’azzurro sopra le nuvole e il sole illumina di traverso i palazzi davanti a noi. Fa anche fin troppo caldo. Quando i bersaglieri intonano l’Inno di Mameli so che ormai è fatta. La sensazione al ginocchio non è per nulla buona, ma ci devo provare comunque. Allo sparo ho un ritardo di una quindicina di secondi sul tempo di gara, ottima cosa anche per riuscire a prendere il premio aggiuntivo per chi riuscirà a finire il tempo di gara ufficiale sotto le tre ore. I pacers sono leggermente più avanti e sparo il primo chilometro subito a 4’ per raggiungerli. I primi 3 km sono un giro nel centro di Reggio Emilia con un nuovo passaggio sotto l’arco di partenza per poi uscire verso le campagne. In giro anche se è presto un po’ di gente c’è, ma il calore di Firenze, Roma o anche solo Milano è solo un ricordo. Qualche applauso, qualche curioso e nulla più. Appena mi accodo ai pacers mi accorgo che il gruppo è abbastanza numeroso, almeno una sessantina di atleti, che vuol dire confusione in corsa. Cerco di rimanere nelle prime file per non restare imbottigliato dietro e ascoltare anche i consigli di chi ci tira. Usciamo da Reggio con un buon ritmo appena inferiore ai 4’ 15” sul quale mi sono allenato. Le gambe sembrano girare bene, ma il ginocchio mi da fastidio. Cerco di convincermi che è solo un fastidio mentale ed a tratti, quando mi concentro più su altro, in effetti le cose migliorano. I primi 17 Km sono tutti in leggera salita, ma nel tratto iniziale non si sentono molto. E’ più la bagarreper rimanere tra le prime fila a tenere banco. C’è chi sgomita un po’ troppo per i miei gusti rendendosi fastidioso, ma non ci si può fare niente se non sperare che presto si levi dalle palle. Usciamo nelle campagne ed a tratti la strada si stringe di molto permettendoci di correre affiancati al massimo in tre o quattro ed allungando di parecchio il gruppo. Lungo la strada c’è un po’ di gente, ma di incoraggiamento, se non per chi gioca in casa, non ce n’è molto. Mi manca avere il proprio (mio) pubblico. Passo i primi 10 Km in poco più di 42’, con quasi una trentina di secondi di vantaggio sul muro delle tre ore. Non guardo mai il cronometro lasciando che siano gli altri a fare il passo. Qualcuno ogni tanto aumenta, ma poi alla fine ci si compatta sempre.
Dal dodicesimo al diciassettesimo la strada si fa più impegnativa, con una seria di salitelle che cominciano a farsi sentire col passare dei chilometri e con il terreno ondulato che si apre nelle campagne. Massimo, il pacerche seguo, ci istruisce ogni tre-quattro chilometri su quello che ci aspetta, dicendoci di aumentare o diminuire il ritmo in base alle difficoltà che dobbiamo incrociare. Dopo il 17 km inizia la prima fase di discesa di sei-sette chilometri, ma chiaramente non regolare. In previsione poi della successiva salita, aumentiamo il passo sui 4’ 10” e il cambio si sente. Io che pensavo di rifiatare un po’ invece… Il ginocchio comincia a farsi sentire maggiormente e anche le gambe non girano più troppo leggere come all’inizio. Il continuo su-e-giù delle strade non è semplice da gestire. Passiamo alla mezza in 1h 29’, quasi il tempo che poco più di un anno fa avevo fatto in gara. Incredibile. Diversamente da tutte le altre maratone comincio già a sentire un po’ di stanchezza e penso che manca ancora metà gara. I muscoli, soprattutto il gemello sinistro e il quadricipite femorale destro, cominciano a lanciare qualche segnale. Anche la spalla, che mi fa male quando inizio a correre scomposto, mi da un po’ fastidio. Cerco di concentrarmi sul passo e la postura per non pensarci. I ristori sono un po’ difficoltosi, dato che siamo in tanti, l’acqua è distribuita solo in bicchieri di carta e non nelle bottigliette e i tavoli sono tutti troppo piccoli e poco distanziati. Ci si accalca, ma riesco sempre a farli tutti senza perdere troppi secondi preziosi. Attorno al 24 Km inizia il tratto più duro con una salitella di soli duecento metri ma che si fa sentire fin troppo. Cerco di non prenderla con troppa foga per non lasciare troppe energie per strada e poi poco a poco riconquisto la mia posizione. Il sole della partenza intanto se ne è andato da un pezzo. La temperatura è comunque buona, ma non arriva ai 10°C. Rimanere coperti in gruppo aiuta a non prendere aria diretta addosso ed a fare meno fatica, ma più di una volta rischio di cadere per piccoli sgambetti fortuiti. I quattro chilometri di salita costante si fanno sentire. Ritorniamo verso le strade percorse all’andata e comincio a contare i chilometri rimanenti, facendo il parallelo con le distanze ricoperte in allenamento per farmi un’idea “vera” di quanta strada manca all’arrivo. Ad un certo punto il ginocchio come per magia non mi dà più fastidio, rimpiazzato da un dolore alla caviglia sinistra ed ai muscoli che cominciano a faticare. La sensazione che provo è altalenante: in certi punti mi sembra che le gambe girino comunque ancora bene, in altri che stiano per cedere. E sarà così fino all’arrivo.
Col passaggio al 30 Km inizia poi la vera maratona, si sa. La sorpresa più grossa è il personale che farei se la gara finisse lì, un 2h 06’ quanto mai agognato in altri tempi. Ma invece Massimo aumenta il ritmo approfittando dei chilometri più piatti. Passo il 32 Km con un po’ di tensione visto che le prime maratone crollavo in quel punto, ma poi fino al 34 Km non ho grossi problemi. Il gruppo è ancora abbastanza unito, anche se qualche pezzo lo abbiamo già perso per strada. Ma la prima selezione avviene dopo il ristoro del 35 Km, al passaggio su un breve tratto di sterrato ghiaioso. Rincorro i pacers che hanno preso anche un leggero vantaggio su di me a causa dell’abbeveraggio e pago un po’ l’aumento di ritmo. I muscoli cominciano a stridere, ma provo a pensare che sono solo sette i chilometri che mancano. Ma quando al 37 km passiamo per l’ultima vera discesa-salita di un sottopasso, c’è la vera selezione. Nei duecento metri arranco e perdo parecchio terreno, fiducioso di recuperarlo una volta tornato in piano, ma non è così. I pacers prendono sempre più vantaggio con solo dieci-quindici runners che li seguono. Il resto è sfaldato. Trentasette è anche il chilometro di crisi a Firenze. Ho un po’ paura ma cerco di mandare avanti le gambe a forza. La crisi prima o poi passa, basta non arrendersi, non crollare, non fermarsi. Do sfogo all’ultimo gel rimasto sperando in una spinta degli zuccheri per il finale. Il gruppetto di testa si allontana piano piano ma evito di guardare il cronometro. I crampi si fanno più forti e le gambe più pesanti. Mi sembra che girino meno, le sento più rigide. Comincio a contare solo i metri che mi separano dal chilometro successivo, togliendo di volta in volta un chilometro ai quarantadue finali. Fino al 39 Km è un calvario, ma sento la fine che si sta avvicinando. Anche la distanza dai pacers rimane più costante e avanzo a testa bassa. Ma poi la sorpresa che non ti aspetti: appena ritornati in città a Reggio, entriamo in un parco pieno di curve e sali-scendi. Subisco tantissimo. Rimango attardato. Cerco di non guardare troppo avanti ma di proseguire un passo alla volta. E penso… penso agli allenamenti, alla fatica e al sudore lasciati lungo il Naviglio, ai lunghi della domenica, agli incoraggiamenti degli amici, alla voglia di correre quando sei infortunato, alle sfide, ai discorsi monotematici tra runners davanti ad una pizza, alle sveglie della domenica mattina dopo i sabati sera in giro, al freddo dell’inverno e al caldo dell’estate, alle corse in salita, alla dieta per la preparazione, al pranzo post corsa, agli amici che sono a casa e che ci credono più di me, alle sfighe della vita, alle lacrime… occupo la testa e la distolgo dal dolore delle gambe e dalla fatica e il parco finisce. Davanti vedo che i pacerssi sono sfilati. Uno porta i più in forma all’arrivo ben al di sotto delle tre ore, Massimo rimane col suo ritmo dichiarato sul finale di 2h 58’ e il terzo si posiziona come limite per scortare chi è rimasto più attardato. Supero quest’ultimo che mi fa coraggio e mi invita a puntare e raggiungere il gruppo poco più avanti. Mi rassicura dicendomi che fino a quando sono davanti a lui il muro è abbattuto. Stringo i denti, riesco a recuperare almeno una bottiglietta d’acqua al ristoro del 40 km e poi aspetto solo di vedere il cartello dell’ultimo chilometro.
Mi sembra di avere un’andatura più che costante. Sfilo lungo i vialoni alberati di Reggio ed al 41 Km mi lascio tentare dal guardare il cronometro. Peccato che il tempo sia fermo a 1h 31’, probabilmente a causa di qualche scontro nella ressa del gruppo. Cerco di allungare più che posso negli ultimi mille metri, ma senza esagerare. Le fila sono molto allungate. Ogni tanto una lacrima cerca di farsi avanti al pensiero di riuscire a stare sotto le tre ore, ma la respingo con forza. Ad ogni curva penso di essere arrivato, ma del traguardo nemmeno l’ombra e nemmeno le solite urla di incitamento del pubblico. Una curva, due curve, tre curve, quattro curve e poi finalmente il cartello dei 42 Km e per i restanti 195 m è solo un trionfo. Cerco di vedere da lontano quanto segna il cronometro sotto la linea di arrivo e provo a spingere per rimanere sotto i cinquantotto. E un passo dopo l’altro finalmente è finita: 2h 58’ 42” (2h 58 57” quello di gara). Massimo e il piccolo gruppetto da lui capeggiato sono arrivati da una ventina di secondi e lui ci aspetta tutti qualche metro avanti la linea di arrivo per stringerci la mano. Gli sorrido e lo abbraccio, quasi commosso. Il grazie più grosso va a lui ed ai suoi due compagni. Proseguo verso le ragazze che ci aspettano con le medaglie in mano e lascio che siano loro ad infilarmela, com’è giusto che sia. Mi fermo a guardare il traguardo appoggiato alle transenne e ancora non ci credo.
Ci avevo sperato e ci avevo creduto fortemente, una volta in gara sapevo che ce l’avrei fatta, ma quando arriva la crisi, anche per solo due chilometri, la strada si fa dura. Ora guardando i parziali di gara ho anche capito che nel finale non sono stato io a diminuire il passo ma i pacers ad aumentare leggermente. Credo sia stata la maratona più costante che abbia mai fatto, praticamente quasi tutta a 4’ 14”. Ma la sorpresa più grossa è anche stata vedere la posizione finale 191°, cosa che solo ieri pomeriggio per me sarebbe stata cosa impossibile da pensare. E’ stata una maratona diversa da tutte quelle che ho fatto, parecchio dura, non semplice, tecnica. La sofferenza è ogni volta diversa, ma la gioia di tagliare quel traguardo e sapere di avercela fatta è qualcosa che non si riesce poi a dimenticare. E questa volta la mia vittoria la dedico a me, perché questa è stata la mia corsa. La volevo e me la sono portata a casa.
L’ultimo grazie lo do a chi mi segue e mi ha seguito in questi mesi… sul sito, su facebook, in allenamento, alla tapasciate, a chi ha sempre avuto una parola di conforto e un incoraggiamento, a chi ha sopportato sfoghi e chiacchiere per una corsa andata male, a chi ha capito quanto è importante la corsa per me, a chi non ha mai smesso di dirmi di non mollare. Grazie ancora, perché oggi non mi sono sentito solo, oggi c’eravate anche voi con me.
La mia Maratona di Reggio Emilia in numeri:
Pettorale: 467
Posizione: 191 (+ 3000 iscritti)
Tempo di gara finale: 2h 58' 57"
Peso: 67,3 Kg
Pubblicato su Podisti.net e Podistidoc.it.