Milano City Marathon
Ormai è passata. La Mia prima Maratona, nella mia città. Una città che si vive sempre velocemente. E per non smentirsi anche la Sua Maratona è la più veloce. Quattro ore bruciate in un attimo. Mesi di allenamento passati in un attimo. Ora. Non mentre corri. Non mentre senti le gambe che non ce la fanno più, che non reggono il ritmo, che avanzano per inerzia. Quando il fisico cede è una lotta di testa. Soli contro se stessi e la strada. Un tappeto d'asfalto lungo quarantadue chilometri per il tuo personale benvenuto all'arrivo. Tutt'intorno palazzi, gente come te, grida di chi ti incita, grida di chi ti insulta, grida del tuo corpo che soffre. Senza sudore. Mille segnali, ma sudore no. Una sofferenza secca, invisibile, sensuale. Una soffernza da vincere da soli. Non conta arrivare prima o dopo, conta farcela. Ed io ci sono.
Se dovessi cominciare dall'inizio, dovrei partire dalla vigilia dell'ultima Stramilano. Un venerdì in cui ho sentito per la prima volta il mio polpaccio urlare: stiramento ai gemelli della gamba destra. Tutto da rimandare. E' stato in quel giorno che ho deciso che avrei partecipato alla mia prima maratona, otto mesi dopo. A fine agosto sono cominciati gli allenamenti, con la decisione di provare a farcela in quattro ore. Countdown giornaliero, settimanale. Corse alla domenica mattina, allenamento in settimana. Quattro giorni non-stop. Fondo, allunghi, rilassamento. Sono partito col caldo e giornate assolate ed ho finito in serate completamente buie e fredde. Ma ne è valsa la pena.
La sveglia suona presto domenica mattina: ore 6 del 2 dicembre 2007. Una notte agitata, tesa. Temperatura umida e fredda fuori, ma si spera che migliori. Alle 8 siamo al campo dell'Arena Civica dove è stato allestito il Villaggio. Cambio indumenti e ci si porta alla partenza davanti al Castello Sforzesco, sulla sinistra. A destra il Duomo. Siamo a Milano. Un modo nuovo di vedere Milano. Un modo nuovo di viverla. Da dentro, non di passaggio. Metro per metro, chilometro per chilometro. Nell'attesa delle 9.20 sorseggio la mia bottiglia, sali. Niente birra nè whisky da tre mesi ormai. Vino solo in occasioni speciali nel weekend. Pranzi e cene controllate. Getto la bottiglia mentre l'atmosfera (dentro) si alza. Via. Non sono solo per i primi chilometri, c'è anche Fabio. Si comincia sul pavè mentre percorriamo il centro di Milano. Davanti a noi ci sono già quasi cinquemila persone, perchè noi siamo novelli, ancora vergini di maratone. Per poco. Ritmo buono, pure troppo per la distanza totale, ma l'adrenalina spinge. Passiamo i Bastioni, Porta Venezia e giriamo intorno al Duomo. Bellissimo. Dovrò aspettare ancora un anno per poterlo rifare. A mente lucida Milano ha un altro sapore. Si vedono sorrisi della gente che ti incita, le macchinei tram e i bus fermi che ti lasciano la strada. Allora passi veloce. Vedo la piccola Sara che mi saluta e agita la mano e penso che ci rivedremo all'arrivo. Intanto i chilometri passano. Si scarica qualche "liquido" di troppo, forse la tensione che scema. Ci si allontana dal centro, con ritmo sempre buono, verso la circonvallazione. Primi ristori, spugnaggio, via. Dalle retrovie si avvicina un picchiettare strano di piedi alla mia sinistra. C'è chi corre a piedi nudi e mi sta passando. Onore a lui. Le facce di chi ci osserva si susseguono, le fila si dilatano, il freddo comincia a rifarsi sentire. Aria sulla faccia, ma il fisico regge. Con passo troppo ampio passiamo ai ventuno della Mezza Maratona e il tempo è buono, 1h e 53'. Però le gambe cominciano a lamentarsi: l'ho già fatta altre volte, ma qui manca ancora il doppio. Lascio andare Fabio e rallento quel poco che basta. Scorgo al mio fianco anche Aldo Rock di Radio DJ che diventerà mio compagno inconsapevole e silenzioso fino al trenatcinquesimo chilometro. Prima sto un po' avanti io, poi mi passa lui, poi stiamo affiancati. Anche lui ha problemi alla gamba ma si va avanti comunque. Al Giambellino svoltiamo verso Corsico. Penso che magari vedrò Barbara e Daniele e quindi devo mantenere un buon passo, non posso mica fare figuracce. Ma le mura amiche che fino a qui ci avevano accompagnato cominciano a diradarsi. La gente che sui marciapiedi e agli incroci ci incitava scompare, lasciando il posto a file interminabili di automobili che suonano il clacson e protestano per il blocco del traffico. A me non importa. Oggi Milano è nostra. Passo di fianco ai vigili che placano i protestanti e alzo due dita medie a destra e a sinistra. Una scarica di adrenalina mi da forza e aumento il passo. Cerco qualche viso conosciuto ma non ne riconosco tra i sporadici spettatori verso San Siro e in lontananza scorgo il tempio del calcio. Siamo sulla via del ritorno e i trenta chilometri sono passati. Incomincia il conto alla rovescia. Quante volte ho corso i dieci da casa mia fino ad Inzago in questi mesi? Un passeggiata ormai... non basta che ripetersi. Il ritmo diminuisce e viene scandito dal susseguirsi di ristori e spugnaggio. Il passaggio ai 35 km diventa un trauma. Come un martello che colpisce a ritmo cadenzato le ginocchia si comincia a soffrire come mai prima. Stringo i denti e guardo quelli che intorno a me mi passano o cedono o si fermano o camminano. L'obiettivo è arrivare e ce la devo fare. Quando il fisico rinuncia rimane solo la testa. Penso ai sacrifici fatti, a chi mi aspetta all'arrivo, alla voglia della partenza. Penso per mantenere la testa occupata, in attesa di un po' d'acqua che ristabilizzi e riazzeri tutto. Passo dopo passo, prima sull'asfalto e poi sul pavé, prima ancora fuori città e poi ancora una volta verso il centro. Fino al chilometro trentanove è vero supplizio. Lacrime riempiono gli occhi come se volessero prendere posto del sudore che è finito ore prima. Ma manca poco. Ricominciano a vedersi sorrisi di bambini appena usciti da messa che volgiono solo avere un cinque mentre passi per correre anche loro insieme a te. Basta un sorriso per per pochi metri in più. I più veloci passano e ti incitano. Dal dietro le voci dei pacemaker tirano il proprio gruppo. Gli spettatori aumentano e si sente il rumore dell'arrivo: applausi, grida di incoraggiamento. Le fitte che colpiscono le gambe in ogni punto sono ormai routine, quindi avanti tutta. Guardo il cronometro che da tempo non controllavo e scopro di essere suelle quattro ore: pensavo molto peggio e invece ce la sto facendo. Altra forza in corpo e altre fitte al fianco. Ma ormai è questione di centinaia di metri. Il Castello Sforzesco si riavvicina. Poi il Parco Sempione. L'Arco della Pace. E infine le transenne dell'arrivo. L'applauso e il vociare di chi ti aspetta all'arrivo aumenta addirittura il passo. Vedo che Lei che mi aspetta con la coda dell'occhio mentre le passo davanti e poi posso fermarmi. 4 ore, 2 minuti e 57 secondi dice il mio cronometro. La tensione che si scioglie mentre mi metto la coperta termica e mi tolgo il chip-cronometrico mi riempie gli occhi ancora una volta, ma ormai è finita. Mi sento chiamare e vedo Toyo in divisa d'ordinanza per aiutare chi non ce l'ha fatta, lo saluto e lo ringrazio, come ringrazio tutti quei volontari che incontro e che ci hanno permesso di fare questa esperienza. Senza il loro supporto non saremmo arrivati. Poi esco, riabbraccio Sara che mi ha aspettato non solo in queste quattro ore ma per tre mesi.
E' stata la prima. E' stata dura. Ma è stato bellissimo. Non conta in quanto tempo la si fa. L'importante è arrivare, è vincere contro sè stessi. Ho rivisto tanto della mia vita mentre correvo. Ho rivisto tanto della mia vita come una maratona: l'inizio adrenalinico e incontrollabile, la consapevolezza di quello che si sta affrontando, le prime fatiche, i momenti di sconforto e di cedimento, il raggiungimento dei propri obiettivi. Poi ogni volta si ricomincia da capo. E anche questa volta sarà così. Ci vediamo a Roma: 16 marzo 2008.