Un po' di sana polemica
Quando il corpo è costretto a riposare non resta che dedicare tempo alla mente. E se non si può correre e nemmeno provare nessun'altra attività, l'unico sfogo sportivo rimane quello da spettatore. E se non puoi uscire di casa, da spettatore divanizzato. Ma non tutto il male vien per nuocere. Più che altro spero che il riposo forzato di questi giorni per l'influenza aiuti gambe e testa a riprendersi vista l'imminente trasferta statunitense con gara annessa. Nel frattempo l'altra sera mi sono goduto la telecronaca in-diretta di Rai Sport sulla Maratona d'Italia dove sapevo esserci vari amici, alcuni vincenti, alcuni a ridosso. Ma non mi sarei mai aspettato di sentire certi commenti.
Quando parliamo di corsa andrebbe fatto subito una basica differenza tra amatori e professionisti (i semi-professionisti, li considererei nel secondo gruppo, visto che sono quello che mi capita di vedere più assomiglia ad un atleta professionisita). Non ci si può aspettare che un corridore amatore, seppur forte e seppur vincente, possa essere a livello di un qualsiasi campione di professione. Se non altro perchè sicuramente il tempo a disposizione di uno e dell'altro che può essere dedicato alla corsa è totalmente diverso. Vero che ci sono amatori che corrono come professionisti, ma credo che possano essere contati sulle dita di una mano.
Per cui quando ho sentito il sig. Franco Bragagna e Orlando Pizzolato, commentatori di Rai Sport insieme a Laura Fogli, quasi de-ridere gli ultimi chilometri del vincitore della Maratona di Carpi, non mi è molto piaciuto. Eppure qualche attimo prima avevano parlato di Pietro Cabassi come amatore dagli ottimi risultati e avvocato nella vita. Avvocato. Non Atleta. Fa una grossa differenza. Vero che la Maratona d'Italia è stata per anni una delle maratone nazionali più importanti. Vero che il parterre di quest'anno non vedeva nessun altleta blasonato alla partenza. Vero che il tempo finale è stato un tempo molto alto per gli standard italiani. Ma parliamo pur sempre di un amatore. Un forte amatore. E allora non fa niente se la gamba destra non lavora bene come la sinistra. Non fa niente se ogni cinque secondi negli ultimi chilometri di una maratona guarda il cronometro al polso come se avesse un tic. Non fa niente se la faccia all'arrivo è stravolta. A noi non interessa. A noi piace pensare che ha vinto un atleta normale, che ha i suoi problemi di postura come li abbiamo noi. Che quando sta per arrivare per primo al traguardo è distrutto quanto lo siamo noi. Che quelle differenze sono le differenze che ci contraddistinguono da quelli che corrono per lavoro. Che lui ha vinto nonostante corresse male e non ce la facesse più. Se ci fosse stato un kenyano non sarebbe stata la stessa cosa? Vero, ma il kenyano non c'era. Se le classifiche di tutte le gare venissero fatte su chi ci sarebbe potuto essere, allora sarebbe anche inutile correre. Pietro c'era, ha corso ed ha vinto. Bravo Pietro.
Come bravi sono stati quelli che gli hanno dato battaglia, anche se da lontano. O quelli, come Pitt, che hanno vinto la gara su altre distanze (30 Km, nda), ma che la in-diretta non ha saputo nemmeno mostrare al taglio del traguardo. Sarebbe bastato montare meglio i filmati e dare dieci secondi di gloria a chi il sudore lo ha lasciato sulla strada, tra la famiglia e il lavoro. Per una volta che non c'erano atleti-lavoratori si sarebbe potuto concentrare l'attenzione su chi, nonostante tutto, corre forte ma solo per piacere. Anche perchè, alla fine dei conti, se non ci fossero gli amatori che mondo sarebbe?