Vercelli Run
Avevo letto più e più volte le lamentele e le disavventure capitate a chi aveva corso alla Maratona (e mezza) del Riso di Vercelli. Anche Simone ci era incappato lo scorso anno. Ma vedere con i propri occhi, tastare con mano (e piedi) è un'altra cosa. La prima edizione della Vercelli Run (10, 21, 30 Km) della stessa organizzazione (ASD Maratona del Riso, nda) ha però avuto la nostra fiducia, un po' perchè certi paesaggi ancora sconosciuti sono belli da scoprire e correre, un po' perchè bisogna sempre dare una possibilità anche se i pareri sono contrari, un po' perchè ci serviva una lunga distanza in preparazione maratona. Così ci siamo trovati stivati per mezz'ora dietro la linea di partenza in attesa del via.
Ho già letto post polemici riguardo la corsa, soprattutto sulla trenta. Vero che le cose non sono andate tutte alla perfezione, ma tra le tante cose da correggere ci sono anche tante cosa da salvare. Sicuramente rimanere per trenta minuti fermi sulla linea di partenza non è una di queste. L'organizzazione ha motivato il ritardo con l'assenza del medico di gara. Può essere o non può essere (per me è stata semplicemente una scusa, nda), ma sarebbe bastato annunciare il nuovo orario di partenza e permettere a tutti di mantenersi caldi, invece che far asciugare il sudore del riscaldamento sulla pelle, per migliorare la situazione. Fortunatamente nessuno è stato male e tra battute con Chiara e Pietro (Colnaghi) il tempo è relativamente passato in fretta. Peccato perchè l'organizzazione pre-gara non mi era sembrata male. Location con ritiro pettorali, consegna borse, spogliatoi e docce a poca distanza dalla partenza/arrivo, poca coda e acqua calda per tutti a fine gara. Spazi non ampi, ma ho visto di peggio. E vista l'esigua partecipazione all'evento (poco meno di 600 runners) più che sufficiente.
Premetto che la mia visione di gara è sicuramente vista e vissuta differentemente da chi rimane più arretrato. Essere nelle prime posizioni ha sempre i suoi vantaggi. Ho provato a rimanere attaccato ai primi ma dopo cinquecento metri ho desistito. Alla fine i miei 30 Km dovevano essere un allenamento e non una gara. Non ho nemmeno pensato ad una vera e propria conduzione del ritmo, improvvisando inizialmente in base alla reazione psico-fisica. Unica condizione Fulvio mi aveva chiesto di correre più veloce nella seconda parte. Dopo il primo scriteriato chilometro a 3' 49" ho cercato di rallentare il passo diluendo piano piano il ritmo. Le gambe hanno girato pi che bene. I primi si sono allontanati e le fila subito allungate. Mi è sembrata esagerata la quantità di persone predisposte dall'organizzazione sparse lungo le strade, soprattutto nelle zone periferiche di Vercelli (ma meglio tanti che nessuno, nda). Pochi invece i segnali sul percorso (frecce e cartelli). Più di una volta mi sono ritrovato di fronte a qualche bivio senza sapere dove andare e non avendo nessuno davanti da seguire. Ma mi è sempre andata bene. Appena usciti dalla città la situazione mi è sembrata però nettamente più tranquilla.
Non abbiamo mai incontrato nessuna auto in movimento fin dopo Pezzana, tutte fermate ad incroci e rotonde da vigili e volontari. La corsa è venuta naturale nonostante il carico della settimana, soprattutto quando le curve tra le vie più strette sono finite e ci siamo ritrovati proiettati verso le campagne. Il mio ritmo si è assestato tra i 4' 05" e i 4' 10" al chilometro. Sempre più veloce di quanto volessi. Poco dopo il ristoro del quinto chilometro (che solitamente salto, ma del quale ieri ho inconsapevolmente e fortunatamente usufruito) i primi della mezza mi hanno superato con un passo decisamente più veloce. Non ho minimamente pensato di accodarmi, concentrato per tutta la parte iniziale su gambe e gara, senza cercare distrazioni. Soprattutto perchè i trenta chilometri sono stati tutti completamente in solitaria. Ottimo allenamento mentale.
La parte migliore del percorso, o almeno quella che io ho apprezzato maggiormente, è stato il passaggio a Pezzana tra il decimo e il dodicesimo chilometro. Un piccolo borgo della bassa piemontese, quasi fermo nel tempo. Come fossimo negli anni '50, piccole case a due piani una attaccata all'altra, strade semideserte, silenzio e i vecchi seduti fuori dal bar come spettatori. I manifesti sui muri grigi e semi-scrostati, i passi che riecheggiano nei cortili delle case con i panni stesi sulle ringhiere. Il fosso che accompagna la strada stretta e sfaldata in più punti. Il secondo ristoro mi prende quasi di sorpresa, nascosto dietro ad una curva a gomito, ma non mi lascio scappare qualche goccio d'acqua per rinfrescare bocca e animo. I chilometri passano, le case si diradano e rimaniamo esuli sulla striscia di asfalto che attraversa tutta la parte centrale della gara immersa nelle campagne tra Lombardia e Piemonte.
Soli. Non un auto, non un trattore, non una bicicletta. E nemmeno un ristoro. Sulla strada che slaloma tra le campagne si possono facilmente riconoscere le maglie di chi sta qualche centinaio di metri più avanti. La mia preoccupazione è stata quella di mantenere il ritmo il più costante possibile e prepararmi alla seconda parte di gara. La fatica comincia ad arrivare nelle gambe e la falsata percezione di immobilità nel tempo non aiuta. Come non aiutano i ristori mancati del quindicesimo e del ventesimo chilometro (!). Mancati perchè non presenti. Fortunatamente la giornata, seppur di pieno sole, non è stata calda ma perfetta per correre (10°C). Ma non avere nemmeno un rivolo d'acqua proprio nella parte più importante di gara non è stato certo un aiuto. Soprattutto pericoloso (altro che medico di gara). Non so se possa aver influito, ma la fatica è fuoriuscita di colpo non appena ritornati in paese.
Prarolo, al ventitreesimo chilometro, lo sfioriamo appena. Il tempo di vedere di sfuggita le bellissime mura in mattoni rossi del castello medioevale voluto dai Benedettini in centro paese. Ci accoglie un singolo tavolo colmo di spugne usate (dai partecipanti della mezza già passati, nda) e nemmeno il secchio dell'acqua in cui immergerle. Comincio a superare la coda con i più lenti del gruppone dei ventuno chilometri. La sensazione di crampi attraversa già le gambe e il bruciore all'inguine delle abrasioni causati dai calzoncini diventano più forti. Ma fortunatamente i chilometri sembrano passare ed arrivare più velocemente. Sul lungo rettilineo che ci riporta verso Vercelli tra il ventiquattresimo e il ventiseiesimo chilometro ho un leggero calo. Ma non sono l'unico. Perdo una posizione ma ne recupero altre due prima di arrivare in città.
Proprio quando sarebbe servito maggior controllo del traffico le macchine riempiono invece la carreggiata, sia in una direzione che nell'altra. Smetto di guardare il cronometro per non farmi influenzare dalla stanchezza stringendomi verso il bordo strada. Il countdown ormai è iniziato. Ripenso agli ultimi chilometri della scorsa settimana alle Terre Verdiane. La situazione nonostante tutto è notevolemnte migliore. Spingo senza sapere a quanti giri vadano le gambe e ad ogni cartello penso già al prossimo, proiettandomi con la mente sui percorsi di allenamento. Raffiguro la strada del ritorno verso casa, cercando di immaginare dove mi trovo. Funziona. Quando le curve cominciano ad immetterci verso il centro città so che è il momento di tenere duro. Diventa più difficile mantenere il ritmo e il passo costanti. Curve, controcurve, marciapiedi, incroci pieni di auto che i pochi vigili non riescono a contenere. Quando finalmente possiamo correre lungo il viale alberato pedonale stretto tra le due carreggiate sono le radici degli alberi a volerci sgambettare.
Anche gli ultimi della mezza sembrano quasi finire e l'ultimo chilometro è una rincorsa solitaria verso l'unico avversario che mi rimane davanti. La distanza si riduce sempre di più mentre le gambe faticano ad alzarsi. Corro rigido, con la spalla sinistra bloccata e dolorante. Il bruciore inguinale aumenta d ogni sfregamento e la spiacevole sensazione di crampi persistente. Le strade sembrano essersi svuotate e dopo l'ultima curva si intravede il gonfiabile dell'arrivo proprio mentre supero il mio avversario recuperando una posizione. Qualche timido applauso quanto entro tra le transenne che delimitano gli ultimi metri, ma ormai all'arrivo non c'è quasi più nessuno. Eppure sono uno dei primi di tutto il percorso della trenta chilometri.
Controllo il tempo del gps, 2h 03' 29" e il chilometraggio che si è fermato preciso a 30,00 Km nonostante ad ogni intermedio il garmin mi fosse suonato un centinaio di metri prima. Credo sia la prima volta che mi sia successo. Rispetto a sette giorni fa la situazione fisica è decisamente più malandata, con un leggero fastidio al ginocchio sinistro che diventa sempre più pulsante. Forse le Nike Elite 7 non sono state la scelta più giusta per un ritmo e una distanza simile. O forse sono solo io a cominciare ad accusare la fatica. Aspetto che arrivi Chiara mentre controllo al tavolo dei giudici di gara tempi e posizioni scoprendo di essere in-volontariamente arrivato 9° Assoluto e 1° di categoria MM40. Non c'è male per essere partito per un allenamento. E Chiara arriva subito dopo, quasi in solitaria e 1° Donna Assoluta. Un buon auspicio in proiezione maratona.
Tutt'intorno invece sento continue lamentele. Chi per la distanza (?), chi per i segnali lungo il percorso (!), chi per i ristori (!), chi per le auto (!), chi per la disorganizzazione in partenza (!), chi per gli spazi esigui (?), chi per il costo (!). Ognuno ha qualcosa da dire, ma nessuno sembra pensare alla corsa. Che nonostante tutto a me è piaciuta. Un bel percorso, veloce, con qualche chicca da incorniciare. Nemmeno la panissa offerta a tutti gli iscritti riesce a smorzare le polemiche. Ci cambiamo e ci presentiamo al palco delle premiazioni (al quale arriviamo di corsa) che vengono fatte in fretta e furia senza neanche aspettare che i primi tre classificati di ogni distanza siano presenti. Nessun fotografo. Niente pubblico. Nessun premio (che verrà recapitato successivamente) (!). E nemmeno la chiamata per le categorie, che vengono silenziosamente congedate per il ritiro del premio (un pacco di riso invece di un "prodotto tecninco o equivalente" come da volantino, nda) ad un anonimo tavolo. Tante piccole sottigliezze che sommate possono trasformare una buona organizzazione in una pessima organizzazione. Ma sarebbe anche potuto andare anche peggio. Sarebbe potuto piovere (cit.).