Calvario Alpin Run (Lucinico)
Era da tempo che non correvo più un trail. Sinceramente non ricordo nemmeno più quando ho fatto l'ultimo. Calcolando che sto ancora usando le scarpe di quattro anni fa, sicuramente qualche anno è passato. Ma quello che è passato maggiormente è l'attitudine ad una certa tipologia di gara. Anche perchè mancando da un po' anche dalle tapasciate domenicali col GPA Mulino Vecchio, il feeling con lo sterrato è diluito piano piano. Nel frattempo anche lo stesso trail si è trasformato. Molta più gente che lo pratica, ma soprattutto una sorta di elite che lo ha fatto proprio. Lo stradista si sente un purista, il trailer (passatemi il termine) si sente un alternativo. E quando questa mattina ci siamo presentati alla consegna pettorali, questa differenza (rivalità) l'ho subito sentita.
Non che la cosa mi abbia in qualche modo preoccupato o infastidito, anzi. A me piace correre e, come ho fatto fino ad ora, mi piace farlo ovunque. Quello che però conta è farlo divertendosi. E oggi in alcuni tratti questa cosa è venuta un po' meno. Una volta i trail si correvano (la maggior parte) solo quando il clima era più amico, da marzo/aprile a settembre/ottobre. E' vero che correndo in montagna il tempo può cambiare da un momento all'altro, ma in certe stagioni le condizioni sono sicuramente più favorevoli che in altre. Negli ultimi anni invece, con l'aumentare anche degli appassionati, non c'è stato più un periodo dedicato. E correre in inverno non è sicuramente come farlo in estate. Le temperatura sono più fredde, la luce totalmente diversa, come diversi sono le ambientazioni. Caldo e secco che lasciano spazio all'umido ed al bagnato, alberi con chiome di mille verdi che vengono sostituiti da rami spogli e lucidi. E questo cambia le cose.
Tutte le volte che ho corso in gare in quota, che fossero gare su asfalto o che fossero su sterrato, ho sempre sfruttato il beneficio dato dai tratti in discesa. Chi corre in montagna lo sa: puoi anche essere fortissimo in salita, ma se poi in discesa non fai andare le gambe non serve a nulla. Correre in discesa non è semplice e anche io ne ho pagato le conseguenze ai miei tempi. Come ho visto anche gente a cui è andata peggio che a me. Sicuramente sono diventato più prudente, ma ho comunque sempre sfruttato la fase di discesa a mio favore. Ma oggi le condizioni mi hanno frenato. Quello che mi sono chiesto è stato: ne vale davvero la pena? Rischiare di farsi male (seriamente) solo per andare un po' più forte? Io ho preferito divertirmi e per una volta non pensare ne a gara ne al cronometro.
Non è una scusa. Correre d'inverno i trail non è una cosa che può piacermi. Le condizioni sono troppo estreme. Dopo la partenza dalla baita degli Alpini di Lucinico, abbiamo quasi subito preso il sentiero in salita che sale sul primo versante del Monte Calvario. Una partenza non troppo veloce su un tratto di asfalto diventato quasi subito ghiaione. Clima freddo nel riscaldamento ma, una volta uscito il sole, ideale per correre. Nessuno è partito a razzo e io mi sono accodato al primo gruppo di testa. Mi ero studiato il percorso, soprattutto l'altimetria, e sapevo bene la sequenza delle salite impegnative: due, sei, otto, undici e tredicesimo chilometro. 17,5 Km in tutto e un tempo di percorrenza paragonabile a quello di una mezza maratona in piano. Quando siamo entrati nel bosco ero intorno alla quindicesima posizione. Sono volutamente partito col freno a mano tirato per vedere quanto fossero impegnative le prime salite e valutarle. Sentieri del Collio, molto simili ai percorsi fatti in tante altre gare sulle montagne bergamasche, sui colli brianzoli o nei boschi lecchesi. Qualche posizione scambiata, qualcuno partito troppo forte che ha subito perso passo e fiato. Ma la vera sorpresa è stato subito il primo tratto di discesa. Fiumi di fango densi e alti, per lunghi tratti nascosto dalle migliaia di foglie cadute dagli alberi. Ci fosse stato anche il ghiaccio ci sarebbero stati tutti gli elementi peggiori che si possano trovare in una gara di montagna (in discesa). Per qualcuno può anche essere divertente, ma non per me. Buttarsi a capofitto giù per il sentiero è stata l'utlima cosa a cui ho pensato. E non perchè non ne fossi in grado, ma perchè è troppo pericoloso. Non puoi sapre cosa si nasconda sotto venti centimetri di fango denso. Una radice, un sasso, una buca. E' un attimo infilare il piede e lasciarci i legamenti di caviglia o ginocchio. E se va male sentire uno "stock" sordo di tibia e perone. Nel giro della prima discesa avevo già perso almeno dieci posizioni.
Ma la cosa più brutta è stata non essermi divertito, preoccupato più a non farmi male che a correre. Senza neanche potermi godere il paesaggio, che in una gara di trail dovrebbe essere una delle principali motivazioni alla corsa. Il colmo è poi venuto alla salita seguente, dove qualche posizione l'ho riguadagnata nel tratto a me meno congegnale. Forse anche perchè ho risparmiato un po' le gambe non essendomi buttato prima a tutta velocità. Correndo in salita ho avuto il tempo di guardarmi un po' in giro, anche se il fango è stato insidioso anche nella fase di spinta. Gambe, braccia e schiena sono rimasti puliti credo solo per una decina di minuti. La seconda discesa non è stata differente dalla prima, anche se il fango ha lasciato più spazio al terreno duro, ma questa volta completamente ricoperto da un fitto strato di foglie. Pericoloso quanto prima. E altre posizioni se ne sono andate. A metà gara anche la prima donna mi ha ripreso.
La parte più divertente è stata quella dove ho potuto giocare con qualche avversario. Nei brevi tratti pianeggianti o di leggera salita, qualcuno anche asfaltato (ma parliamo di qualche centinaio di metri), ho accettato le brevi sfide improvvisate che mi sono capitate. Anche perchè fino a metà gara di fiato ne ho avuto da vendere. Piccoli allunghi per testare la resistenza di chi ha provato a superarmi o a resistere al mio sopravanzare. Alla fine, gioco del tutto vano visto che per l'ennesima volta anche la terza discesa non è stata diversa dalle altre. Ma in mezzo almeno questa volta il percorso è stato corribile in sicurezza per qualche chilometro, risalendo piano piano il versante posteriore della montagna, su un sentiero prima ghiaioso e leggero per poi trasformasi in una scala naturale verso l'alto. Ho visto anche più d'uno perdere la propria scarpa, avvinghiata dalla ventosa creata dal fango. Giusto per far capire quanto ce ne fosse presente e quanto potesse essere pericoloso.
La parte finale è quella che forse mi sono goduto maggiormente. Un po' più stanco e con le gambe appesantite, ma con la libertà mentale di poter pensare a correre e guardarmi attorno. Salita più dura di tutte quelle affrontate, ma discesa asciutta e corribile. Una volta arrivati alla sommità del Monte Calvario segnata dal monumento dei caduti è stato un lungo lasciarsi andare tra curve e controcurve lungo il versante da cui eravamo saliti quasi un'ora e mezza prima. Il piccolo gruppetto col quale ero stato negli ultimi chilometri si è disgregato nel giro di poco e uno ad uno ho recuperato qualche posizione. Nulla di eclatante, ma la consapevolezza che se fosse stato tutto così sarebbe stata tutt'altra corsa. La passerella finale è stata senza allunghi o sprint. Solo l'avvicinarsi al gonfiabile dell'arrivo dove uno ad uno sono stati acclamati e applauditi tutti gli arrivati (come sempre organizzazione degli alpini di alto livello). Pensavo di impiegarci un po' meno, ma l'1h 33' 34" è stato tutto frutto di una gara nata male.
A chi è andata sicuramente meglio è stata Chiara, che a parte il livido sul sedere per una scivolata nel fango (guardacaso), è arrivata solo sei minuti dopo di me, ma portandosi a casa i premi per la terza posizione assoluta femminile e la prima di categoria. Alla fine il discorso è quello che faccio sempre quando qualcuno mi chiede di corsa: ognuno deve fare quel che più gli piace e quello che gli viene meglio. Non esiste la corsa giusta per tutti o la gara perfetta. L'importante è divertirsi. E noi ne siamo l'esempio. Ieri a me, oggi a lei. E chissà, domani ancora insieme.