Transcivetta (Alleghe)
Non è stata così terribile come immaginavo. Anzi a dirla tutta me la sono proprio goduta. Ci siamo divertiti. Forse speravamo in qualcosa di più, ma non si può sempre avere tutto. Arrivare, commuoversi ed avere un sorriso sulle labbra credo sia ben più che sufficiente. Soprattutto quando si arriva da una stagione di tutto rispetto, per risultati e gare. Lo skyrunning e il trail sono comunque discipline che ti lasciano sempre a bocca aperta per i paesaggi che attraversi, per il contatto con la natura, per lo spirito diverso con cui si vivono certe esperienze. Sono quelle che di danno la soddisfazione per esserci stato. Quando poi corri in coppia, o in squadra, aggiungi quel qualcosa in più che ti fa apprezzare ancora di più quello che stai facendo. Per te e i tuoi compagni.
Il bello poi di correre in montagna è anche quello di passare un week-end diverso. In realtà Alleghe non ci ha dato una bella accoglienza, un po' di traffico per strada e sani temporali per tutta la serata e la notte. Praticamente quasi non ho dormito da quanto fossero forti e insistenti. Guardando il cielo al mattino eravamo anche incerti che ci avrebbero fatto partire per la gara. Nuvoloni, temperatura non superiore ai 12-13°C. Ma in lontananza, soprattutto sulle cime, sembrava che la situazione stesse migliorando. Fortunatamente nel pre-gara non c'è stata nemmeno una goccia di pioggia. La temperatura si è alzata, lasciandoci anche indecisi se usare solo la canottiera Gazzetta Runners Club o se mantenere anche la sottomaglia. Comunque per sicurezza ci siamo muniti di piccolo zainetto da corsa con cambio maglia e giubbino. In montagna a 2500 m è meglio non rischiare. Prima di infilarci in gabbia cerchiamo e salutiamo Alex, compagno Strongman e novello trailer. Grazie al neo-titolo di Campionessa Italiana vinto da Chiara ci posizionano nella griglia di top-runners e invitati. A pochi minuti dal via troviamo anche Tite e Alice, anch'essa reduce dal Magraid. Non abbiamo obiettivi di sorta, anche se i premi fanno sempre gola. Il tempo rimane brutto sopra di noi, anche se la temperatura non è male per correre. Allo sparo ci buttiamo in avanti. Si corre in coppia, che per come la intendo io vuol dire correre insieme, aiutarsi, incitarsi, parlarsi. Ma non tutti la pensano come me. Forse il passo è troppo veloce e soprattutto la strada parte immediatamente in salita lungo un serpentone di sei chilometri. Chiara è un diesel, e soprattutto abituate a distanze ben maggiori, e subisce un po' sia la velocità che la salita. E per "aiutarci" inizia praticamente subito a piovere. Non quattro gocce rinfrescanti, ma un bel temporale di montagna, con tuoni e secchiate d'acqua che ci inzuppano perfino i piedi. Noi saliamo ma il ritmo è abbastanza lento. In alcuni tratti io cammino veloce mentre Chaira a fatica cerca di rimanermi attaccata. Ci superano in tanti, ma abbiamo tutto il tempo per recuperare più avanti. Con l'acqua che viene la mia unica preoccupazione è far si che recuperi il prima possibile per non rimanere troppo infreddoliti, visto che oltretutto siamo ancora in basso. Seguiamo il serpentone umano che sale lungo la montagna. E' impossibile sbagliare strada. Più i minuti passano più la nostra situazione migliora. Siamo solo a circa 6 Km ma con più di 700 m di dislivello dallal partenza quando arriviamo al primo ristoro. Un piccolo rifugio, Capanna Trieste, immerso nel bosco. Ci sono sali, acqua, the caldo e cibo a volontà. Il cronometro non lo guardiamo praticamente mai. Conta solo avanzare un passo alla volta, guadagnando metri in lunghezza e in altezza. Chiara si riprende, si toglie la canottiera fradicia di acqua e proseguiamo, insieme. Sto davanti cercando di dare un po' il passo. La cosa che mi rincuora è vedere che il sorriso le è tornato sulle labbra e che sta meglio. Lasciamo gli ultimi alberi alle spalle e saliamo verso il Rifugio Vazzoler, appena sopra i 1000 m di dislivello. Recuperiamo qualche posizione e lasciamo la strada bianca che ci aveva accompagnato per sentieri ben più sconnessi e irregolari. Cominciano a fare la loro comparsa pietre e tratti sabbiosi. La pioggia ha smesso di cadere ma il tempo non sembra migliorare. Di mio io sto bene, potrei prendere e partire da un momento all'altro. Non credevo di avere un così buon ritmo nelle gambe, soprattutto in salite come queste, ma mi devo ricredere. Vedremo tra tre settimane se sarà vero. La strada si impenna vorticosamente. Il 10% iniziale diventa solo un ricordo, fino a quando non superiamo le Casere Favretti per immetterci nella Val Civetta. Il bosco e i sassi lasciano posto ad immensi e lunghi prati verdi ricoperti d'arbusti. Il problema, anche nei tratti pianeggianti, diventa quello di rimanere in piedi e soprattutto non farsi male. I lunghi sentieri di terra si sono trasformati in grossi e insidiosi scivoli fangosi, come nei migliori tratti della Strongman. Vero che noi lo siamo, ma è davvero difficile riuscire a rimanere in piedi in alcuni tratti e sia io che Chiara non ci risparmiamo una bella caduta ricoperti di terra bagnata e melmosa. Il tratto piano permette sia di correre che di rifiatare, ma non dura molto. Chiara sembra uno stambecco che saltella da una roccia all'altra, debole ricordo di quella di anche solo cinque chilometri prima. E io dietro a lei. Quando inizia la nuova salita verso il Rifugio Tissi ruoli e posizioni cambiano nuovamente. A tratti ho strani ricordi legati alla Monza-Resegone, quando il sentiero diventa in single-track e si risale la montagna in fila non riuscendo quasi nemmeno a superare i più lenti. Si va su un passo alla volta, uno dietro all'altro. Questo è anche uno dei motivi per cui in certe occasioni è meglio trovarsi nelle prime posizioni, per non rimanere bloccati in ingorghi. Io mi sento sempre bene, mai in riserva e mai stremato. E' comunque il ritmo che terrei in una qualsiasi camminata in montagna. Siamo a quasi 1600 m dalla partenza a poco più di metà gara. In molti arrivano stremati, ma noi ci siamo e stiamo bene. Dopo un veloce ristoro è Chiara a fare da apripista lungo i sentieri che conosce bene e si butta a capofitto giù per la discesa. Ho qualche remora in più io, visto la quantità di roccia e sassi che ci sono, memore dell'ultimo infortunio alla caviglia, proprio in discesa. Davanti a noi abbiamo la catena del Civetta che ci guarda. Io me la gusto. Un timido sole fa capolino, ma non fa nemmeno tempo a scaldarci lasciando poi il posto alle nuvole che poco a poco vanno a ricoprire le cime. Risaliamo verso la Forcella e quasta volta anche Chiara la sente nelle gambe. La guardo in faccia girandomi di tanto in tanto mentre saliamo e si legge la fatica negli occhi e sul viso. Ma un poco alla volta saliamo. Sempre insieme. Vedo tante coppie spaiate e, anche se per molti è una tattica di gara (anche se il compagno non dovrebbe mai essere più distante di trenta secondi), trovo davvero tanta incongruenza con quello che secondo me dovrebbe essere lo spirito della gara. Per qualche tratto provo ad aiutarla per mano ma poco alla volta risale la china fino a quando non scolliniamo dalla parte opposta del passo. Chiaramente non c'è moltissimo pubblico lungo il percorso, ma nei tratti più carattestici come i passi e i rifugi c'è una buona presenza di gente che ti incita sempre a gran voce. Siamo saliti ancora di duecento metri e ci manca solo l'ultimo strappetto prima della discesa. Scendiamo lungo il Laghetto Coldai mentre qualche goccia sembra volerci incitare ad aumentare la velocità per non prenderci un altro acquazzone. Risaliamo la Forcella Coldai per poi buttarci verso il Rifugio e completare gli ultimi metri dei 1950 di dislivello della Transcivetta. Chiara rinsavisce e comincia a fare il passo incalzata dalla discesa. Ci buttiamo a picco per gli ultimi sei chilometri. Prima roccia e una discesa abbastanza pericolosa dove basterebbe davvero poco per farsi male. Appena il sentiero spiana leggermente, l'insidia invece arriva dal fango come già successo in precedenza. Ma con la discesa è ancora tutto più pericoloso. Andiamo abbandonando il sentiero in alcuni tratti e riprendendolo poi in altri. In parecchi si fermano rallentati dai crampi. Ma noi stiamo bene. Ho solo un po' di mal di gambe dovuto ai continui salti dalle rocce. Chiara spinge più che può fino a quando non sbuchiamo nuovamente sulla strada bianca per gli ultimi due chilometri e mezzo prima dei Pian di Pezzè. Finalmente riusciamo a correre fianco a fianco e aiutati dalla discesa riusciamo a tenere un ritmo attorno ai 4' 30". Ormai sappiamo entrambi che è finita, solo un ultimo piccolo sforzo. La pendenza si sente parecchio nei quadricipiti, indeboliti già dai 23,5 Km del percorso. Andiamo, fino a quando in lontananza ci si para il traguardo, dopo una curva, infondo all'ultima discesa sull'erba. C'è pieno di gente, ognuno ad aspettare i propri beniamini, ma attenti ad incitare anche chiunque vedano passare. Per le donne poi gli applausi ed i saluti raddoppiano. Gli ultimi cinquecento metri sembrano essere su un tappeto rosso. Poco prima dell'arrivo sentiamo gridare "Dai Chiara!" e di fronte a noi a sorpresa vediamo i suoi genitori. Lei si commuove. Scendiamo e corriamo gli ultimi duecento metri mano-nella-mano, perchè siamo una squadra, sfilando tra le due ali di spettatori all'arrivo. Vedo anche mamma e papà che ci immortalano proprio sotto il gonfiabile. Quando fermo il cronometro, il tempo dice 3h 25' 55" (24mi in classifica mista e 196mi su 600 in classifica generale), in realtà esattamente in linea sui ritmi immaginati, forse anche un po' meno. Io sto più che bene, Chiara un po' più sfiancata, ma deve ancora smaltire la sbornia di chilometri fatta al Magraid. Nessun premio questa volta, anche se sarebbe stato bello davanti al nostro pubblico. Ma in realtà, il giusto premio ce lo prendiamo subito poi in baita, birra-polenta-salsiccia-formaggio per festeggiare. Comunque, siamo una squadra fortissimi... o almeno la più bella.