Bergamo Urban Trail
Amo correre tra i vicoli, le scalinate e gli impegnativi viali che percorrono le mura di Bergamo Alta. Amo i trail urbani, che ti permettono scoprire la città di corsa, in modo differente da qualsiasi altra gara, attraversando le sue strade. Amo correre la sera, con i colori del tramonto, e la notte, abbracciato solo dalla luce della frontale. Ho amato il Bergamo Urban Trail. Ma solamente una volta tagliato il traguardo.
Ho passato una giornata (da giornalista) immerso nella magica atmosfera del trail. Dell'ultra. Fin dalla prima edizione ho sempre seguito (e raccontato) l'Orobie Ultra Trail e l'ho vista crescere. Con le improvvise difficoltà regalate dalla natura, con la voglia di diventare grande e con un consenso (tra il popolo dei runner) sempre maggiore. Il press-day è iniziato presto, con la partenza da Clusone della OUT (di 140 Km e 9500 D+) e la rincorsa nel primo pomeriggio al passaggio di Lizzola, al trentesimo chilometro. Guardare gli altri correre, che siano top-runner nelle prime file o amatori immersi nel loro personale viaggio, non è mai indolore. E li ho invidiati, piegati sulle loro gambe, schiacciati nei loro zaini fin troppo piccoli, guardandoli scendere le valli della Prealpi Orobie, stanchi ma fieri di esserci. Ho sognato, come ogni volta, di ritrovarmi al loro inseguimento, magari nelle prime posizioni, salendo e scendendo i sentieri per centinaia di chilometri (peraltro da me mai affrontati) ripromettendomi prima o poi di farlo. Ma sapendo già che rinunciare al quotidiano per fare un passo oltre non è mai cosa così semplice.
Fortuna vuole che questa terza edizione dell'Orobie Ultra Trail abbia portato con sé anche una graditissima (per quelli come me) novità. Oltre al percorso più breve del Gran Trail Orobie (ma non certo più semplice) di 70 Km (e 4200 m D+) anche il più abbordabile Bergamo Urban Trail, "solo" 20 Km tra le strade e sentieri attorno-e-a-Bergamo-Alta (e 700 m D+). Mi piacciono gli urban trail, a dispetto di chi è purista. Stradaiolo o trailer. Mi piacciono perché racchiudono l'essenza delle due discipline senza essere un estremo. La velocità della strada (vuoi non correre al massimo per venti chilometri?) e la forza del trail (che trail sarebbe senza salite?). Ma con quella componente di fascino che è impossibile riscontrare in qualsiasi altra disciplina. Non è sola natura salendo i pendii ed i sentieri più impervi e non è nemmeno la lotta sfrenata contro il tempo, ritmato sempre da un cronometro troppo veloce. Sono passaggi nascosti, scalinate impervie, mulattiere infinite che si incontrano appena svoltato l'angolo. Panorami, non di piccoli laghetti alpini o orizzonti strappalacrime, ma sulle città che si illuminano da dentro, man mano che la sera arriva. E' il sapore duro dell'asfalto e del cemento, ma con la consapevolezza di esserne i padroni incontrastati per una volta.
Mentra gli ultra-men affronatavano le migliaia di metri che li separavano ancora dall'arrivo di Città Alta, noi abbiamo preso il via proprio sotto i suoi piedi. Cinquecento. Analizzando l'altimetria sulla carta in questi ultimi giorni, avevo ben capito che affrontando i primi chilometri interpretandoli come se fosse una mezza qualsiasi, avrei rischiato di rimanere senza forze ancora prima di metà gara. Ben sei impegnative salite totali, le più difficili delle quali nella seconda parte. E come se nulla avessi pensato prima, sono partito a spron battuto inseguendo ragazzi di vent'anni più giovani di me. Ma soprattutto abituati ai dislivelli. Già, perché a dispetto del fascino di una gara come il Bergamo Urban Trail, il problema grosso, per chi come me è abituato a correre sempre in piano, sono proprio i metri all'insù. Senza sottovalutare le discese che, anche se più facili da correre, sono quelle che possono dare il colpo del k.o. anche alle gambe più allenate.
Primi chilometri in falsopiano, seguendo la ciclabile che circumnaviga le mura di Bergamo inoltrandosi poi verso il Parco dei Colli. Tutto asfalto con cambio di terreno solo in corrispondenza del cambio di pendenza. La difficoltà più grossa è stata solo non rimanere accecati dal sudore negli occhi per il gran umido della serata. Corsa quasi di gruppo durante la prima parte, con sorpassi e risorpassi abbinati all'altenrarsi di salite e discese. Non fosse bastata la densità degli alberi a rendere difficoltosa la vista, anche l'arrivo del tramonto ha reso tutto più difficile. Ma è bastato che il buio si impadronisse del giorno per far si che l'atmosfera diventasse magica.
Lungo i primi metri della seconda salita, poco prima del passaggio a Madonna della Castagna, le mie gambe hanno deciso di essere già allo stremo. Ho avuto bisogno di rifiatare, lasciando che le posizioni scorressero inesorabilmente, non riuscendo nemmeno ad agganciarmi a Christopher (altro Corro Ergo Sum Runner in gara insieme a Tommaso) che si è allontanato piano piano insieme al mio gruppo di improvvisati compagni. Alzare lo sguardo vedendo tante piccole luci in salita verso i sentieri del bosco, mi ha ricordato le fatiche della Monza-Resegone e quell'esperienza del Rewoolution Raid già passata ormai da qualche anno, proprio lungo quei sentieri impervi. Ci ho messo qualche decina di minuti per ritrovare forza e passo, ma la rincorsa verso la fine è ricominciata presto.
La parte centrale di tutto il percorso si è alternata tra bosco e città, facendo seguire alle salite, altrettante discese non meno faticose. La lunga ascesa che da Valbrembo riprende quota verso Bergamo ha segnato le gambe, immortalando anche il momento in cui la prima donna mi ha prima raggiunto e poi superato. Ma il tratto più duro è forse stata la seguente ridiscesa, dove i crampi hanno iniziato a fare capolino tra i flessori della gamba sinistra. Fortunatamente tutto tenuto sotto controllo, ma a discapito della velocità. Da questo punto in poi la corsa si è trasformata in solitaria, seguendo le luci delle lampade frontali solo in lontananza ed esclusivamente lontano dai boschi.
Alcuni momenti del Bergamo Urban Trail: alla partenza con i Corro Ergo Sum Runners (1) e con Antonio De Corato (DubaiBlog) e Manlio Gasparotto (2) e da finisher (3) con Christopher (4).
Il passaggio lungo i sentieri che ci hanno portato verso il Monastero di Astino è stato forse il tratto più affascinante. Naturalisticamente parlando. Non tanto per il paesaggio, invisibile, quanto per l'atmosfera surreale che abbiamo attraversato. Il silenzio più assoluto. Il buio più ovattato. Il tracciato evidenziato ad ogni curva solo dalle balise fluorescenti e nessun altro aiuto. Come essere racchiusi in un labirinto, senza possibilità di sapere dove e quando. Forse avrei potuto continuare all'infinito a salire e scendere quel sentiero, sentendo solo il rumore soffuso dei miei passi, perso nell'attenzione dell'appoggio e la ricerca della strada. Solo fuoriuscito dalle fronde degli alberi ho ripreso contatto con la realtà di gara, con le mure di Città Alta illuminate dal giallo dei lampioni e una chiara scia di piccole luci in movimento da inseguire.
L'eco dei primi applausi ha cominciato a farsi sentire verso l'ultimo ristoro, con i chilometri ormai agli sgoccioli e le due salite più impegnative da affrontare. I polpacci hanno cominciato a lanciare le prima grida di allarme e mi sono adeguato alla loro richiesta, alternando corsa e camminata dove la pendenza si è fatta troppo impegnativa. Sentieri e boschi hanno lasciato finalmente spazio solo a ciottolato e ville. Ci siamo mischiati ad un pubblico improvvisato intento alla passeggiata serale per ammirare il panorama della pianura. Fatica che è aumentata, ma insieme alla consapevolezza che mancasse sempre meno alla fine di tutte le sofferenze. Se al mattino e al pomeriggio avevo tanto sognato il momento di ritrovarmi con le scarpe ai piedi a risalire i colli di Bergamo, in quel momento tutto mi è sembrato tanto irreale quanto comico. Ma solo fino alla fine dell'ultima salita.
Come per me anche per altri urban-runner i muscoli non sono rimasti indifferenti al continuo sali-scendi. Mi sono fermato poco prima di ributtarmi verso l'ultima salita per aiutare chi i crampi non è riuscito ad evitarli, con un grazie e una pacca sulla spalla. Impensabile forse in una gara su strada. Qualche secondo perso e la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta. Ma esattamente il contrario di quello che ho pensato (di aver fatto la scelta giusta intendo) una volta iniziata l'ultima, impressionante, infinita, risalita verso San Vigilio. Credevo saremmo dovuti passare lungo la strada che costeggia le mura, ma mi sbagliavo. Una lunghissima scalinata, quasi impossibile (per me) da correre che non ha dato un attimo di respiro a polmoni, gambe, piedi, testa. Un continuo affanno che mi è sembrato non finire mai. Solo la certezza che oltre ci sarebbe stato l'arrivo ha aiutato a non cedere alla tentazione di fermarsi. E l'ultimo gradino è stata la liberazione.
L'ultimo chilometro ci ha lanciato verso la discesa che porta alla Marianna, prima di buttarci verso il centro della città vecchia. Un chilometro che è sembrato allungarsi sempre più, mentre le gambe hanno continuato a girare vorticosamente cercando il piccolo sentiero lastricato stretto tra parapetto e ciottolato. L'arrivo è stata cosa a tre, con le forze che sono ricomparse quasi per miracolo e le gambe che hanno impiegato qualche minuto prima di uscire dall'intorpedimento dato dalla lunga risalita. Peccato non aver attraversato tutta la cittadella ma essere passati attraverso strade secondarie. Un ultimo sali e scendi tra palazzi che trasudano storia prima di affacciarci dal portale che ci ha proiettati sul traguardo di Piazza Vecchia come arrivando da un'altra dimensione. Una sensazione di indecisione, di stupore. Un finale ormai agognato che si è materializzato improvvisamente, mettendo la parola fine a tutti i pensieri. 1h 43" 08" il mio tempo finale, trentesimo assoluto. Qualche minuto in più rispetto a quanto mi sarei immaginato. Ma di immaginazione ne avrei dovuta avere decisamente di più.
Se il Bergamo Urban Trail è stato pensato solo per dare più vita a tutto il week-end dell'Orobie Ultra Trail è stata pensato decisamente bene. La gara perfetta per provare a capire cosa possa essere correre centoquaranta (o anche solo settanta - come la nostra Jessica, per la seconda volta consecutiva finisher) chilometri lungo i sentieri orobici. Un assaggio per chi non conosce ancora il trail, le salite, la lotta continua con(tro) se stesso. Non è trail. Ma è sicuramente il miglior modo per capire se si è disposti a voler andare ancora più sù. Molto più in su.