Monza-Montevecchia, questione di... secondi
C'è sempre qualcosa da imparare correndo la MoMot, la Monza-Montevecchia EcoTrail. E' inspiegabile quel legame indissolubile che si crea tra compagni lungo i trentatré chilometri che risalgono la Brianza verso le colline. Passi che si fondono nell'armonia naturale dei sentieri attraverso un tempo quasi immobile, che riprende a battere i secondi solo una volta attraversato il traguardo.
C'è una prima volta per tutto. E questa è stata la mia prima in coppia con una donna che non fosse Chiara. E' stato strano, diverso. E' stata anche la prima volta di una gara in coppia con qualcuno con il quale non avevo mai corso prima, se non da avversaria. L'ultima invece era stata con Franco, compagni inseparabili di altre avventure. Ieri è stato il turno di Lorenza.
Era stata proprio lei a proporsi qualche settimana fa quando ci eravamo incrociati velocemente all'expo della Milano Marathon. Allora Chiara volava sulla cresta dell'onda e difficilmente avremmo pensato di separarci (sportivamente parlando). Ma, come ho imparato troppo spesso a mie spese, non sempre le cose vanno come si vorrebbe, soprattutto correndo. E, vista la (sua) non buona condizione fisica delle ultime settimane, abbiamo optato per un sicuro cambio all'ultimo minuto, certo che avrei potuto comunque fare un'ottima gara.
I timori della vigilia sono stati per entrambi gli stessi. Non è facile correre fianco a fianco, e su un percorso così intenso come quello della MoMot, senza conoscersi. Un conto è sfidarsi e incrociarsi lungo la strada, un altro è percorrerla in coppia. La Monza-Montevecchia è un viaggio da vivere insieme, lasciando per un attimo il mondo (alla villa) reale per tuffarsi in una dimensione a parte, fatta di sentieri, di boschi, di sudore, di salite, di fatica, di caldo. Da condividere. Da sobbarcarsi. Da superare. Insieme. Timori, che una volta partiti però, si sono trasformati in certezze.
Pettorale numero tredici e prima coppia mista a scendere i gradini della Villa Reale, mentre a poche centinaia di metri i primi crono-ciclisti del giro d'Italia stavano già scaldando le loro ruote. Primi chilometri immersi nei viali ad est del Parco di Monza, unica inedita deviazione per questa nuova edizione. Lorenza su piano e terreno regolare è un cavallo di razza. Ci è bastato poco per recuperare le coppie femminili che erano partite prima di noi solo di qualche minuto. Ho lasciato a lei l'onore (o l'onere) di fare il ritmo iniziale (4' 06" i primi tre chilometri) e ci siamo mossi a sensazione scandendo un passo regolare, risalendo il piccolo falsopiano prima di lasciarci alle spalle le mura del parco. Non mi era mai capitato di ritrovarmi davanti a tutti. Nessun riferimento visivo, nessun riferimento di ritmo. Solo il sentiero e il continuo plauso dei volontari ad incoraggiarci. Alle spalle nessun rumore di passi per molto (troppo) tempo. Fortunatamente conosco bene la MoMot. Trovarsi davanti a tutti senza avere la minima idea di dove dirigersi avrebbe consumato tante energie mentali.
La parte più suggestiva del percorso è iniziata come sempre subito dopo il decimo chilometro, appena ci siamo inoltrati nella Valle del Rio Pegorino. Cinque chilometri completamente immersi nei boschi, in un saliscendi continuo tra tronchi e la fresca ombra degli alberi, cullati dal silenzio interrotto solo dal passaggio di qualche (spericolato) ciclista off-road. Un percorso senza sosta, che ti spinge sulle discese e ti forza a risalire gli argini sabbiosi dei torrenti in secca. Scarpe (e piedi) che per una volta sono rimasti all'asciutto per qualche chilometro in più.
MoMot, partenza dalla Villa Reale (1), decimo chilometro (2) e attraversamento di due guadi (3 e 4). Grazie a Roberto Mandelli e Marco Brioschi per le fotografie.
Lungo i sentieri è stato quasi impossibile riuscire a correre affiancati. Ho preso qualche metro di vantaggio cercando di seguire le balise e le frecce che indicavano la direzione da prendere, aiutati anche di tanto in tanto dai volontari sparsi su tutto il percorso. La cosa più strana (pensandoci) è stata quella di non controllare mai il chilometraggio. Senza incontrare cartelli, è venuto naturale pensare solo a godersi il momento, senza conoscere il ritmo e senza l'ansia di doversi confrontare con qualcuno. Abbiamo semplicemente corso, sapendo che la parte più dura sarebbe ancora dovuta arrivare.
Ma è bastato poco. Il solo fuoriuscire dall'ombra degli alberi ha cambiato le sensazioni. Dopo i boschi è stata la volta dei campi, interrotti di tanto in tanto dal passaggio in qualche piccolo centro abitato, ma solo per creare l'illusione che il caldo non ci fosse. I chilometri che da Casatenovo portano fin dopo Lomagna sono stati un unico interminabile sentiero afoso, dove la campagna ha subito amplificato la sensazione di calura senza dare il minimo respiro. Per me non essere al massimo dello sforzo ha voluto dire riuscire a sopportare la fatica, ma lo stesso non è stato per Lorenza che col passare dei minuti ha iniziato a subire la temperatura crescente ormai intorno ai trenta gradi. Il ritmo è decisamente sceso e il passo si è fatto pesante. Ogni curva mi è sembrata l'ultima prima di ributtarci tra le fronde degli alberi, ma prima di ritrovare l'ombra è passato ancora tanto tempo.
La cosa più difficile quando si correre con qualcuno è interpretarne i segnali. Capire da movenze, respiro, sguardo, reazioni quale sia la reale situazione fisica e mentale del proprio compagno. E poi trovare il modo di essere d'aiuto. Di sostenersi. Di dividere gioie e dolori. Ed è quello che ho provato a fare, notando come Lorenza fosse proprio l'opposto di Chiara, con caratteristiche esattamente complementari. L'ideale per creare un duo femminile da competizione. Pur essendo la nostra prima gara insieme, non è stato necessario null'altro che correre. Prima affiancati, poi allungandoci sui sentieri più stretti. Uno sguardo per trovarci e capire cosa fare.
Il passaggio ai ristori dopo metà gara è stato un pieno di energie, regalate non solo dall'acqua fresca che ci siamo rovesciati addosso, ma dal calore di chi ci ha applaudito vedendoci arrivare. Sorrisi e incoraggiamenti che hanno ridato vitalità alle gambe, richiamandoci al presente. Il vantaggio di essere i primi ad incontrare tutti. Tanti, forse troppi amici del Monza Marathon Team, trovati sul percorso che avrei voluto ringraziare uno per uno, ma che si sono volatilizzati nel tempo di un ciao.
MoMot, arrivo a Montevecchia. Grazie a Roberto Mandelli per le fotografie.
La vera gara, si sa, alla MoMot inizia ai piedi della lunga salita che porta al Santuario. Tre chilometri che non danno respiro e che possono cambiare radicalmente il corso degli eventi. Passati e futuri. Uno strappo sterrato iniziale che taglia le gambe, un passaggio semi-pianeggiante per riprendere fiato tra le prime verdi terrazze della collina, per arrivare alla mulattiera che inganna la mente nascondendo agli occhi l'agognato arrivo nella piccola piazza centrale. Secondi che diventano minuti. Corsa che si trasforma in cammino. E forze residue che si perdono lungo la strada.
Il nostro arrivo a Montevecchia è stato accolto con un boato dai tanti presenti. Primi a rinascere dalla pianura. Tanti gli amici che ci hanno incitato che stento a ricordarli tutti. Ma è stata una dose di adrenalina che ha ricaricato le mie gambe come fossero nuove. Nel frattempo abbiamo ceduto lo scettro di primi della classe ai veri campioni. Il duo Rognoni-Colnaghi che ci ha superato proprio circumnavigando il Santuario che si affaccia sulla Brianza. Solo qualche metro insieme per poi buttarci a capofitto giù per la discesa spaccagambe prima dell'arrivo. Ho visto Lorenza provata, col caldo e la fatica che le si sono infiltrate tra le gambe, ormai incapaci di decidere un ritmo più alto. E non mi è rimasto altro da fare che accompagnarla, cercando di farle ritrovare le ultime forze residue per cavalcare gli ultimi chilometri che ci stavano ancora separando dall' (insperato) arrivo.
Ancora gradini, sterrato, strappi improvvisi per poi ridiscendere lungo il lieve boschetto che attraversa la Valle del Curone. Un ondeggiare leggero slalomando ancora all'ombra degli alberi, tuffandoci negli ultimi guadi come in un'oasi nel deserto. Ancora una volta nessuno davanti (a vista) e nessuno alle spalle. Nelle ultime centinaia di metri prima dell'arrivo ci siamo ritrovati fianco a fianco. Lorenza a ridare il suo ritmo, io ad inseguirlo. Poi l'ultima salita verso il traguardo, dove il viaggio ogni volta si trasforma in un ricordo e i secondi ritornano a battere: 3h 01' 08". Non ci è rimasto che aspettare. Con Chiara e Tommaso apparsi appena in tempo per vederci arrivare.
La mia prima volta (con Chiara) alla Monza-Montevecchia era stato un sorprendente primo posto, trasformatosi in un terzo l'anno successivo (proprio alle spalle di Lorenza). Il secondo gradino del podio mi mancava e questa volta è arrivato, per soli 6" dalla coppia che ci ha preceduto (17° assoluti). Il tempo di un ristoro. Di un saluto. Di un respiro. Secondi. Che cambia(no) significato in base a come li si interpreta. Ma la nostra rivincita ce la siamo presa vincendo il Trofeo Velocità sul traguardo intermedio nel Parco di Monza. Primi dove contava solo correre. Il resto è già diventato (la nostra) storia.
MoMot, premiazione per il primo posto al Trofeo Velocità (1) e per il secondo posto tra le Coppie Miste. Grazie a Roberto Mandelli e Marco Brioschi per le fotografie.
E tra tutte le prime volte, è anche la prima in cui posso pubblicare il racconto dell'altra faccia della medaglia, quella che ha ri-visto tutto con occhi diversi. Grazie a Lorenza per la sua esperienza (e per avermi sopportato per tre ore)...
Ci sono gare, non programmate, che decidi di correre solo perché sai che sono belle, uniche nel loro percorso; se poi “l’invito” arriva da un amico di “corsa”, con cui hai condiviso qualche podio, ebbene, non puoi proprio rinunciare. Dario Marchini, marito di Chiara e papà di Tommaso, è stato il compagno d’avventura ideale per questa Monza-Montevecchia 2017, un percorso tosto che non lascia un attimo di riposo, non ti annoia mai con i suoi continui saliscendi. I campi ti sembrano infiniti con il sole a picco, poi la dura salita verso il santuario e i guadi, un vero toccasana per le gambe accaldate dai chilometri percorsi. Una gara che parte a cronometro: noi, prima coppia mista senza sapere cosa accadeva dietro, il vantaggio di correre “in solitaria” e prenderci tutto il caloroso tifo dei numerosi volontari lungo il percorso; una gara corsa come piace a me, a sensazione, riuscendo a scambiare qualche chiacchiera. Solo in cima alla scalinata del santuario veniamo raggiunti dalla prima coppia maschile, composta da Rognoni e Colnaghi, non esitano a incitarci e tutti e quattro esclamiamo “ma quanto è dura la Momot”. Dario, abituato a correre in coppia con Chiara è il compagno ideale, non ti mette certo ansia seppur decisamente piu’ forte di me, attento al punto giusto, conosce bene il percorso, mi avvisa sui punti difficili e mi rincuora avvisandomi sull’ultima salita, prima della parte finale che ti porta all’arrivo nel campo sportivo. Un primo posto come coppia mista sfumato per solo sei secondi, ma è il bello dello sport, con la grande soddisfazione del primo posto come coppia mista piu’ veloce all’uscita dal parco e il ricordo di una bella giornata in ottima compagnia. All’arrivo ci aspettano Chiara e il piccolo Tommy passiamo qualche ora insieme parlando non solo di corsa, godendoci le nostre premiazioni e dimenticandoci della stanchezza. Era da tanto che non provavo quel “bel sano mal di gambe”, abituata a correre sempre le mie solite distanze, ma la Momot è anche questo, un ottimo allenamento in vista della prossima avventura. Grazie Dario, grazie Chiara per la bella opportunità e tanti complimenti al gruppo del Monza Marathon Team, società organizzatrice di questa bella gara.