Trofeo Montestella (Milano) [A2]
Di più non avrei potuto fare. In realtà speravo un po' meglio. Prima della partenza mi sentivo bene e in forma. Gambe riposate da una pausa di due giorni, solita agitazione pre-gara, meteo quasi perfetto. Le premesse per fare bene c'erano tutte. E magari l'ho anche fatto, non ho altri termini di paragone se non la 10 Km di Parma. E quella era andata decisamente meglio, seppur con una gamba non a posto. Ma sono quasi due mesi fa e cinquanta giorni di stop, probabilmente fanno la differenza. Oltretutto oggi ho completamente sbagliato la partenza, ma queste sono le cose che capitano quando non si è più abituati alla tensione da gara ed a controllare il proprio corpo. Quasi inesperienza. Il vero rammarico che mi rimane ripensandoci questa sera è che i giorni che mi separano dalla Maratona di Milano, forse sono troppo pochi per poter pensare ad un miglioramento sui quarantadue chilometri. Ma è ancora troppo presto. Anche se la testa è già chilometri avanti.
Si ringraziano Roberto Mandelli di Podisti.net e Antonio Capasso di Andòcorri per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.
E' stato quasi un dejavu rivedere mio Zio aspettarmi fuori nel parcheggio chiuso in macchina ed uscire con la borsa in spalla avvolto nella giaccavento. Freddo. Ma non quello che tutti si aspettavano. Davano pochi gradi per questa giornata di gara e invece è stato proprio il mattino a regalarci la prima sorpresa: cielo limpido contornato da qualche nuvola e sole. Aria comunque fresca e temperature non superiori agli 8°C, ma certo non il freddo polare che avevamo immaginato. Come nostro solito arriviamo presto per fare tutti i nostri riti pre-gara propiziatori, salutare gli amici ormai onni-presenti ad ogni corsa, fare un buon riscaldamento. I primi che incontro sono Pino, Giovanna, Fabrizio e Simona, strongmen marziani, Marco e Francesco, compagni di mio Zio, Roberto e Antonio fotografi di corsa, Rocco e Filippo. Ma siamo in tanti alla partenza, secondo le iscrizioni sui millecinquecento. Il tempo è pressochè perfetto. L'aria è frizzante e decisamente invernale, con una brezza fredda. Ma il sole aiuta a sentirsi comunque bene pur in pantaloncini e maglietta. Al via cerco di piazzarmi il più possibile davanti. Non voglio rimanere imbottigliato e cercherò di non creare intralcio a chi andrà più veloce. Stare ammassati sulla linea di partenza è quasi un piacere, visto il calore che si forma. Fa quasi caldo. Poi il colpo di pistola del via ci prende quasi di sorpresa. Non mi sembra di essere attorniato da fenomeni e al primo chilometro mi lascio trascinare un po' dal gruppo, cercando di non esagerare. Alcuni tratti di strada sono in leggera salita, quasi impercettibile visto che siamo ancora freschi. Le gambe girano a meraviglia e sembra che anche il fiato ci sia. Al primo intermedio sgrano gli occhi: 3' 38". Anche se sto bene, so che la pagherò cara. Rallento subito visto che so di non poter reggere un ritmo simile. E' strano però come le gambe e forse soprattutto la testa non se ne rendano minimamente conto. Svoltiamo verso il Parco di Trenno e prima di inoltrarci nell'erba controllo il secondo chilometro, ancora troppo forte: 3' 50". Mi sembra quasi impossibile visto che ho lasciato che tantissimi mi scorressero al fianco, eppure sono ancora troppo veloce. La cosa assurda è che al secondo chilometro ho già più di trenta secondi di vantaggio sul tempo che vorrei fare. Mi impongo ancora di rallentare, primo per recuperare la fatica che ancora non sento ma che sicuramente ho fatto e poi per provare a mantenere il giusto ritmo fino all'arrivo. Sarebbe un ottimo risultato. Dentro al parco però non è più così semplice correre come in strada. I vialetti asfaltati sono stretti e lunghi. Mi ricordano un po' le stradine della Maratona di Reggio Emilia dello scorso anno. Ricordi. Il tempo intanto regge. Arriva qualche nuvola ad oscurare il sole e le raffiche di vento ogni tanto danno fastidio a seconda della direzione che prendiamo all'interno del parco. Poca gente in giro, quasi nessuno per seguire la gara. La maggior parte sono gruppi di calcio che si ritrovano al parco la domenica mattina, altri piccoli gruppetti solitari che corricchiano lungo le stradine secondarie in mezzo agli alberi gialli d'autunno. Nei continui cambi di direzione la maggiorparte cerca di tagliare qualche metro passando sull'erba, ma a me non piace molto. Il cambio asfalto-terra non è così agevole. Quasi discuto anche in corsa con un ragazzo che stando più esterno rispetto a me si lamenta perchè non taglio e rimango più largo. Roba da matti. Proseguo per la mia corsa vedendo che il treno di chi mi supera non tende a diminuire. Mi fa un po' strano, ma so anche in che condizione mi trovo. Dopo il terzo e il quarto chilometro rientrato nei parametri regolari comincio a fare fatica. Le gambe diventano pesanti, il fiato corto. La testa non è più abituata alla fatica e non dà il giusto supporto. E il continuo andare e tornare all'interno del parco non aiuta molto. Perdo addirittura qualche secondo nei chilometri successivi e vedo che il vantaggio iniziale comincia ad assottigliarsi. Le cosce, scoperte, subiscono un po' la temperatura che si sta abbasando. Le fila si allungano leggermente e finalmente rivedo l'uscita dal verde pubblico, anche se il piccolo strappetto di un metro e mezzo da campestre che ci separa dall'asfalto mi segna le gambe per qualche centinaio di metri. Iniziamo la strada del ritorno. Il vantaggio è che finalmente conosco la strada negli ultimi tre chilometri. Diversamente dal solito il settimo non lo soffro come sempre anche se ancora perdo secondi e inizio l'ottavo chilometro a 32' 01", praticamente cancellando tutto il vantaggio che avevo. Maledetti i primi chilometri. Provo ad alzare le ginocchia per aumentare la falcata, dilatare le dita dei piedi per la spinta, aprire le mani, correre eretto per guadagnare qualche altro secondo. Ma non c'è nulla da fare. Prima dell'inizio dell'ultimo chilometro in un tratto di andata-e-ritorno incrocio Rocco che mi saluta, Fabrizio (forse mi chiama anche lui?), Zio e Marco. C'è un piccolo falsopiano in controvento e mi basta così poco per non riuscire a spingere di più. Negli ultimi mille metri provo a dare il tutto. So di non poter tirare una volata finale perchè poco prima dell'arrivo c'è una brusca curva ad "u" che romperebbe il ritmo, quindi propendo per dare tutto solo nel finale. Ma le gambe sembra che si lascino prendere dall'adrenalina. Non penso al tempo e vado. Riesco a guadagnare qualche posizione prima di entrare nel centro sportivo e dopo la curva lascio spazio alle ultime energie. Ma non ce n'è a sufficienza e il cronometro si ferma a 40' 05" (256°). Neanche il tempo di riprendere un po' di fiato, di aspettare Zio (nuovo personale, n.d.a.) e Marco che sono solo un minuto più dietro e comincia a piovviginare. So che dovrei sorridere. Più di una volta mentre correvo mi ripetevo che dovevo essere contento anche solo per essere riuscito ad essere presente. Settimane di sacrificio senza correre hanno comunque dato i loro risultati, buoni e cattivi. E' ancora l'inizio, ma il bello oggi era solo esserci.
Tornato a casa mi sono invece goduto la telecronaca in differita sulla Maratona di Venezia. Strana scelta quella della differita, ma quanto mai apprezzata da chi corre alla domenica mattina, visto che mi sono potuto godere metà gara senza saper nulla prima. E che spettacolo è stato. Guardando la televisione avrei voluto esserci anche io oggi. Pioggia, freddo, vento, acqua alta. Certo non la maratona per fare un personale (andrò contro-corrente ma per me Venezia non è per nulla una maratona veloce, oltretutto difficile di testa) ma sicuramente una quarantadue chilometri di puro divertimento e di sofferenza. Complimenti a chi c'era e che comunque, personale o no, è arrivato al traguardo. Andrea e Claudia in primis.