DeeJay Ten, una corsa in famiglia
Non so quante DeeJay Ten ho corso, ma tante. Esserci stato ancora insieme a Chiara e Tommaso (per la seconda volta) ha dato tutto un altro sapore. Perché alla fine correre non è solo arrivare uno, ma un viaggio con tante sfumature da imparare ad amare.
Ho corso la DeeJay Ten fin dalle primissime edizioni, quando il palcoscenico non era il centro di Milano, ma il sotto-casa di Linus. Quando i miei chili di troppo erano veramente troppi e riuscire a correre i 10 Km sotto i 50' era ancora una vera impresa. Quando invitavo gli amici ad esserci, anche se ancora non correvano, per farsi accompagnare solo per cinque chilometri (camminando) dal Trio Medusa e dalle loro imbarazzanti sfide. Quando il pettorale era ancora stampato sulle maglie smanicate e con il cronometro si lottava per arrivare primi. Quando ci si riusciva ancora ad iscrivere il sabato mattina. Quando eravamo poco meno di mille, poi mille e cinquecento, poi duemila, poi duemila e cinquecento.
Ho corso la DeeJay Ten anche quando i lavori per la Metro Lilla e il circuito di San Siro non ci hanno più potuto contenere. Quando la partenza e l'arrivo hanno iniziato a spostarsi all'Arco della Pace e poi al Castello Sforzesco. Quando le polemiche (sterili) dei primi anni hanno cominciato a diventare noiose e correre i primi chilometri ammassati nella calca iniziale difficile. Quando il popolo degli amatori (improvvisati) si è sempre più aggrovigliato attorno a quelli degli agonisti (puntigliosi). Quando gli errori di organizzazione si sono susseguiti negli anni agli elogi per i risultati raggiunti. Quando il mondo del running ha cominciato a cambiare, diventando un vero evento di massa e Milano ha dovuto poco alla volta cedere la strada alla corsa rinunciando, sua malavoglia, alle auto.
Ho corso la DeeJay Ten negli ultimi anni, prendendo il via da Piazza del Duomo, prima in un senso poi nell'altro. L'ho corsa con occhi diversi, in modo diverso. Prima accompagnando gli amici, poi accompagnato da moglie e figlio. Ho corso provando ancora a sfidare il cronometro, ma capendo poi che non è più quello il suo senso. Ho imparato a guardarmi intorno, non per godermi la città, ma per capire chi mi stesse circondando. L'ho corsa quando il cronometro non c'è più stato, quando è diventato un appuntamento fisso, quando i runners (veri?) sono diventati una rarità. Quando le polemiche hanno continuato ad esserci, ma sempre senza un motivo. Quando i mille sono diventati, diecimila, poi ventimila, poi trentaseimila.
Ho corso la DeeJay Ten ieri ed ho scoperto che se ami correre non puoi fare a meno di amarla. Che la si corra o meno. Perché nessun'altra corsa credo abbia mai avvicinato così tanti non-runners alla loro prima volta in strada. Perché non esiste un evento di corsa che in Italia faccia i suoi numeri. Perché non esiste una corsa con tanti sorrisi, con tanta voglia di esserci, con tanto colore come tra le strade di Milano. E Firenze. E Bari. E Roma.
Ho corso la DeeJay Ten e continuerò a correrla, anche se ieri sarebbe dovuto essere il giorno del lungo in vista della maratona. Perché al di là del business che genera, è forse la strada giusta per riuscire a rilanciare un mondo, che a partire dalla sua federazione, sta forse diventando troppo vecchio. Ho corso la DeeJay Ten con la speranza che forse un giorno la stessa allegria, lo stesso entusiasmo, la stessa passione, la stessa voglia di esserci, Milano la viva anche per la sua maratona. Ho corso la DeeJay Ten perché tutti siamo partiti con da lì, con cinque o dieci chilometri. L'ho corsa perché se amiamo correre, volenti o dolenti, un grazie (a Linus) glielo dobbiamo. Ho corso la DeeJay Ten con la mia famiglia, spingendo un passeggino, (qui il video in diretta della Patitucci su DeeJay) perché è l'unica corsa che ti permette di farlo senza (troppi) problemi. L'ho corsa tra mille saluti, mille applausi, mille sorrisi, mille incoraggiamenti. Ho corso la DeeJay Ten. Perché mi piace. Sempre di più.