Giro di San Giacomo (Trieste)
Non è stato come avrei voluto, ma come allenamento è andato più che bene. Non è sempre facile riuscire a trasformare in una seduta (quasi) tranquilla una corsa che inizia con lo sparo. E fare bene la seduta di ripetute in salita di sabato è stato fondamentale anche per arrivare con le gambe un po' più provate e un po' meno freschi alla partenza. In realtà poi avrei voluto provare un progressivo, ma la conduzione di gara è stata completamente condizionata dal percorso non lineare. Molto tecnico e interessante per una 10 Km da sfida. Magari non per provare il personale, ma sicuramente una corsa da provare. Conoscendo il percorso e sapendo dove attacare e dove rifiatare il Giro di San Giacomo risulta un diecimila comunque veloce e stimolante. Mi sono divertito, anche senza dare il massimo come da previsione. Ma non per questo sono arrivato al traguardo fresco come una rosa. Anzi...
E poi ho finalmente visto anche una parte di Trieste che ancora non conoscevo. Meno turistica. Meno affascinante. La Trieste che i triestini vivono. Una parte di città più grigia, un po' più cupa, con sali-scendi continui e il traffico che caratterizza i quartieri lontani dal turismo. Ma anche il quartiere dello Stadio dedicato a Nereo Rocco. La zona delle industrie, dove la Illy produce il suo caffè. Meno scenografia, più sostanza. Tanti si saranno però sentiti a casa. E proprio a casa loro, prima del via, ho salutato i pochi che conosco. Pitt e Andrea (Marino). Due. Pochi ma buoni. Da top-runner. Avrei voluto correre qualche chilometro con loro e sfiancarmi, ma ho preferito partire un po' più arretrato.
Sono bastate cinque file per ritrovarmi però alla partenza in mezzo a runner con passo troppo lento. Gente che prima del via neanche ti faceva avvicinare per non farsi rubare il posto, ma per ritrovarsi nel giro di cento metri già a distanza di sicurezza. Se tutti imparassero ad essere un po' più umili, si risparmierebbe tanta fatica anche con le griglie di partenza. E un pensiero è subito andato alla Mezza Maratona di Santa Barbara dello scorso autunno. Sarei voluto partire un po' più piano, ma i primi seicento metri completamente in discesa e la necessità di guadagnare spazio e qualche posizione hanno fatto mulinare le gambe un po' più del dovuto. Dover correre senza spingere la massimo è stato strano, ma allo stesso tempo stimolante, per imparare a trattenersi per aumentare poco alla volta, provando a riconoscere le sensazioni. E già al secondo chilometro sono andato un po' in affanno lungo la prima lunga salita che costeggia lo stadio. Ma ho visto subito che chi mi affiancava stava nettamente peggio di me, arrancando fin da subito per mantenere ritmo e posizioni.
Il panorama non ha offerto molto se non prevalentemente industrie, abbandonate e non, e tangenziali sopraelevate. Ma l'organizzazione durante tutta la gara è stata pressochè perfetta. Non un auto ad intralciare tutto il percorso, completamente chiuso al traffico e monitorato dai volontari. Cosa che ha spinto la testa a preoccuparsi più della gara in sè che del contorno. E un passo dopo l'altro ho recuperato posizioni come mi ero prefisso fin dal giorno prima. Prima un gruppetto, poi un altro, poi un altro, senza aumentare il passo ma solo assecondando il leggero cedimento di chi è partito troppo forte nei primi chilometri. I due tratti di andata-e-ritorno hanno anche permesso di dare un rapido sguardo alla battaglia per le prime file e vedere in quanti mi stessero precedendo. E immaginare anche dove e come sarei potuto essere in altra situazione.
Rileggendo il grafico della PBP (passo in base alla pendenza) è abbastanza evidente come sia rimasto costante nello sforzo, fattore che mi ha permesso nella seconda parte di gara di provare ad allungare leggermente il passo. Dopo il giro di boa e dopo aver salutato per la seconda volta le Corro Ergo Sum Sisters, Chiara e Silvia, in compagnia di Tullio, ho provato un principio di progressione, evidente più a me, nel continuo superare dei runner che mi precedevano (dalla 100ma alla 51ma posizione circa, nda), che nell'andamento dei ritmi. La piccola variazione in corrispondenza del gps all'ottavo chilometro, la conseguente lunga salita prima dell'arrivo e la non-conoscenza delle strade mi avevano fatto pensare ad un diecimila più corto dle dovuto, ma le centinaia di metri persi nell'ottavo intermedio le abbiamo recuperate bene prima dell'arrivo al Nereo Rocco, forse la parte più bella e affascianate di tutta la corsa. Un intero stadio di calcio (quello della Triestina, nda) senza pista, completamente ad uso di una corsa di atletica. Basterebbe solo questo per dare un premio agli organizzatori. Discesa al fianco delle biglietterie ed entrata nella zona parcheggi sotto le tribune. Dalle retrovie il runner che mi inseguiva ha provato lo scatto finale pensando di essere in dirittura di arrivo, ma non sapeva che avremmo prima dovuto correre lungo tutto lo stadio ed entrare sull'erba dalla parte opposta. Posizione recuperata ed entrata nel campo verso il gonfiabile dell'arrivo in 39' 01". Stanco e completamente fradicio, ma con ancora energia da vendere. E questa è stata la cosa che più mi ha dato fiducia. Vedere che i problemi delle scorse settimane se ne stanno andando poco alla volta.
Sul caldo dell'erba ho aspettato che arrivassero Chiara&Family conoscendo qualche nuovo amico di Corro Ergo Sum. Ogni corsa triestina è sempre una nuova sorpresa da questo punto di vista. Come sorpresa è stata l'organizzazione post-gara, con una logistica perfetta, un ristoro degno di un catering e le strutture dello stadio (spogliatoi, docce, consegna borse, tribune, campo, parcheggi) tutte a nostra disposizione. Tanti organizzatori di eventi avrebbero molto da imparare, considerato il costo irrisorio (10€) per l'iscrizione ad una gara valida per il campionato regionale. Non sarà stata gara vera, ma me la sono goduta fino alla fine.