Corsa e bambini
Ho già parlato di corsa e bambini sulle pagine di Runner’s World. Ho raccontato fatti accaduti. Ho raccolto testimonianze di esperti. ho sempre avuto un mio personale pensiero, senza però realmente capire cosa volesse dire fino in fondo. Poi ho corso fianco a fianco a Tommaso, spingendo Leonardo sul suo passeggino. E le idee mi si sono schiarite.
Non è facile parlare di bambini. Mai. Soprattutto quando si parla di quelli degli altri. Bisogna sempre fare attenzione. Non a caso il codice deontologico dei giornalisti ha sempre tutelato i minori attraverso la Carta di Treviso. Tutti pronti a giudicare, a criticare, a puntare il dito. O a difendere a spada tratta. Dipende dalle varie fazioni. Personalmente mi sono sempre ritrovato nel mezzo, non avendo tutti gli strumenti necessari per poter prendere una decisione definitiva.
Sono papà, sono runner, sono giornalista, sono istruttore Fidal. Ho corso spingendo Tommaso dentro allo stroller Thule Glide da quando aveva poco più di quattro mesi. Abbiamo corso insieme, ci siamo divertiti. Anche contro il parere di molti. Raccontando la nostra esperienza. Senza forzature, senza dover per forza dimostrare qualcosa se non il nostro divertimento. Corse sporadiche, che col tempo (e il suo crescere) si sono perse. Lo stesso non sono riuscito a fare invece con Leonardo, vuoi per problematiche maggiori quando si hanno due figli, vuoi per motivi legati ai miei problemi di schiena. Ma mi sarebbe piaciuto.
Ho mischiato la mia esperienza di padre con gli insegnamento di istruttore, senza mai forzare la mano. Ho lasciato sempre libero Tommaso di scegliere quello che ha voluto fare (da quando ha potuto scegliere), passando dal nuoto, al rugby, al tennis, all’arrampicata... ma dandogli sempre (anche involontariamente) l’esempio da runner. Come padre (io) e come madre (Chiara). E quando è capitato ha corso. Accompagnandoci comodamente seduto, applaudendo dietro le transenne o correndo insieme ad altri bambini lungo la pista di atletica o sulla strada prima di una maratona. Eppure mi è sempre mancato qualcosa. Qualcosa che ho capito e scoperto correndo insieme a lui.
Per la prima volta, sabato, abbiamo corso insieme. Non fuori casa o al parco, ma a una gara per bambini. La maggior parte più grandi di lui. Una corsa per le scuole. Due chilometri. Non credo che avesse mai coperto una distanza così lunga senza mai fermarsi. E sinceramente prima di partire non sapevo cosa aspettarmi. Non lo abbiamo forzato, non lo abbiamo spronato. Glielo abbiamo proposto e lo abbiamo portato. Semplicemente ci siamo messi in griglia (pure troppo in fondo) e abbiamo aspettato il via, osservando la sua voglia di giocare a correre. Perché è questo il segreto. Giocare. Quello che un bambino deve sempre fare, magari non attaccato ad uno smartphone o a un tablet, ma libero di dare sfogo alla sua vivacità.
Abbiamo corso tutti e quattro insieme (qui potete curiosare su Garmin Connect o Strava). Leonardo lo ha seguito con lo sguardo (senza addormentarsi sullo stroller come faceva il fratello maggiore) e lo abbiamo affiancato assecondando il suo ritmo a singhiozzo. Prima a tutta, poi rallentando, poi ripartendo, poi sbuffando, poi riprovandoci ancora, poi riposando un attimo, poi arrivando finalmente al traguardo. Felice. Insieme a tanti altri bambini. Insieme alla sua famiglia.
Due chilometri per un bambino di quattro anni possono sembrare tanti. Sono tanti anche per un adulto che non ha mai corso. Eppure sono passati in un attimo. Ma soprattutto sono stati uno sforzo decisamente leggero per lui. Forse dimentichiamo quanta energia possano avere i bambini, quanta bisogno abbiano di sfogarsi, di arrivare a sera stanchi, di competere, di stare in mezzo agli altri bambini. Che è poi quello che insegna l’atletica (come tanti altri sport). Fino a qualche giorno fa avevo il dubbio che lo sforzo potesse essere troppo. Che correre chilometri per un bambino (di qualsiasi età) potesse essere un danno. Ma guardando Tommaso sono sicuro che è solo stato un bene. La stessa cosa che ho pensato quando questa estate abbiamo camminato quasi dieci chilometri attorno alle Tre Cime di Lavaredo.
I bambini si fanno molti meno problemi di quanto non se ne facciano gli adulti. I bambini sanno dove possono arrivare e quando finiscono le batterie si spengono. Semplicemente. E concordo con chi sostiene che lo sport fa solo bene (fatto nel modo corretto). Anche quando una bambina di otto anni corre dieci chilometri. Non è la distanza a creare il problema, ma quello che sta attorno. Come nel calcio, non sono i bambini che corrono dietro un pallone a creare un’ossessione, ma i genitori che gridano e urlano dagli spalti. Se un bambino vuole seguire le orme dei genitori (che sono e devono essere il suo primo esempio) è libero e in grado di farlo. Quando non ne avrà più voglia, si fermerà. Cambierà. Cercherà la sua strada. Nella corsa, come nella musica, come nella danza. So che è difficile. Lo so perché sono padre anche io. Ma è necessario.
Correre non può far male. Correre è il gesto più naturale che possa esistere. Un bambino piccolo, appena ha imparato a stare in piedi e a camminare prova a correre. E lo fa nel modo più corretto che si possa fare (basta guardarglielo fare a piedi nudi... provare per credere). Correre, anche tanto, non può essere sbagliato. Lo sbaglio è costringere o farlo nel modo ossessivo. Correre è libertà. E un bambino deve essere lasciato libero di farlo, come, quando e quanto ne ha voglia (come raccontato nelle testimonianze che ho raccolto). Le problematiche che possono nascere sono causate da altro. Da altri.
Oggi è un altro giorno. E ad aspettarci questa volta non ci saranno più una strada e l’arco del traguardo. Niente pettorale ne scarpe da corsa. Ma un campo in terra battuta, una pallina gialla e una racchetta. E sempre lo stesso fantastico sorriso.