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Vigilia fantasma

A una settimana dalla Maratona di Valencia mi sono reso conto di quanto sia più saggio rinunciare ad una corsa, ad una seduta di allenamento, ad una gara, piuttosto che ritrovarsi fermi per uno stupido infortunio. Perdere un'occasione per uno stupido capriccio. No, non ne vale la pena.

Sarebbe dovuta essere l'ultima settimana di scarico, i giorni in cui l'adrenalina pre-gara comincia a salire dalle gambe fino alla testa. Oltretutto questo autunno ha fatto di tutto per regalare delle giornate spettacolari per allenarsi senza grandi ostacoli. Sole, caldo e pochissimi giorni di pioggia. Praticamente impossibile non riuscire a programmarsi per fare bene. Un'occasione da non perdere. Uno dei dubbi che mi hanno sempre attanagliato da quando mi ero scritto alla maratona prima dell'estate era stato il clima valenciano. In questo periodo temperature ancora attorno ai 20°C e superiori. Arrivare dalla nebbia padana e dall'umidità del Naviglio sarebbe potuto essere contriproducente. E invece sarebbe stato tutto perfetto. Solo qualche grado in più e un sole comune che avrebbe finalmente seguito la gara dopo essersi subìto due mesi di allenamenti, sacrifici e lamentele. Ma è andata com'è andata. Ad un certo punto, prima di riprendere a correre, ancora in convalescenza, avevo quasi pensato di poterci comunque fare un pensierino. Ma domenica mi sono reso conto di quanto la cosa fosse solo utopia. Domenica, che sarebbe dovuta essere l'ultima vera corsa pre-gara, quesi canonici sedici chilometri fatti solo per ricordare alle gambe come si deve correre. Questa volta l'allenamento è stato diverso.

Avrei voluto trovare un diecimila che mi aiutasse a tenere i ritmi un po' più alti, ma non si è corso nulla in zona. Per cui invece del Naviglio ho preferito tornare al Parco di Monza. Percorso regolarmente misurato e ormai famigliare. Anche se non manca volta che, sovrapensiero, sbagli a qualche bivio. Una seduta che sulla carta sarebbe stata tranquilla solo qualche settimana fa, due serie di cinque chilometri a velocità maratona (4' 00"), visto che se non avessi avuto problemi ne avrei dovuti correre quarantadue solo qualche secondo più veloce. Praticamente una passeggiata indolore. Ma la realtà è tutta un'altra cosa.

Uno dei problemi aggiuntivi al periodo di stop è la poca famigliarità che ci si ritrova con i ritmi. Faccio decisamente fatica a capire quanto spoìingere o quanto trattenermi. Un conto è decidere di andare a sensazione, un altro seguire un ritmo. E quando sono partito per la prima delle due serie, com'era immaginabile ho esagerato. 3' 45" al primo chilometro vuol dire scoppiare poco dopo e infatti così è stato. Ho provato a rallentare ma senza riuscirci come avrei voluto e dopo il terzo chilometro mi sono sentito col fiato troppo corto e le gambe distrutte. Complice anche la leggera salita di Viale Cavriga, la strada asfaltata che attrvaersa tutto il parco, da parte e parte. Decidere di fermarsi dopo quattro chilometri è stata la relativa conseguenza. Poco male. Recupero e la voglia di riprovarci aggiungendo il chilometro perso a quelli ancora da fare. Sulla carta tutto facile. Sulla strada meno. La seconda serie è stata meno dolorsa, inizialmente. Ma man mano che i chilometri sono aumentati la fatica è ritornata. Fiato corto, cuore che sembrava impazzire (anche se i battiti sono sempre rimasti controllati nell'intorno dei 172 bpm) e una fastidiosa fitta al fegato. Mi sono sentito un runner alle prime armi. Deluso, incerto, sconfortato. E ancora una volta dopo solo quattro chilometri ho deciso che fosse sufficiente.

Quello che mi è passato nella testa per i restanti due chilometri di scarico non lo so completamente. Un turbinio di pensieri, di immagini, di parole. Pensandoci, ripensandoci è davvero stupido infortunarsi. Può capitare per carità. E qualcuno ne è più soggetto di altri. Ma facendo quattro conti è abbastanza chiaro che non ne vale assolutamente la pena. Basta analizzare il mio autunno. Un mese abbondante di stop. Un mese abbondante di riavvicinamento alla corsa. E almeno ancor aun mese prima di trovare dei ritmi che tornino accettabili, probabilmente non ancora al top. Che vuol dire più di tremesi per essere ad un livello più basso di dove avevo lasciato. Più del tempo per preparare una maratone, correrla e recuperare. No, non ne vale proprio la pena. Forse qualche giorno di recupero quando qualcosa non va sarebbe la medicina più giusta. Magari un po' amara nel momento stesso, ma molto più dolce nelle settimane a venire.